copertina libro X Valentina Mira Fandango

X di Valentina Mira: raccontare lo stupro

X è uno di quei libri che leggi tappandoti la bocca. Perché non puoi far altro che tacere quando ti viene consegnato un pezzo di vissuto così viscerale e schietto. 

X è un romanzo che si nutre del vissuto della sua autrice, Valentina Mira. È una raccolta di lettere che Valentina scrive al fratello, con il quale ha perso i contatti da diversi anni, per raccontargli quello che non ha potuto dirgli in passato. Dentro quelle lettere ci sono stralci di vita, ricordi d’infanzia, momenti di amorevole supporto-comprensione-complicità tra fratello e sorella, il sostenersi e il difendersi a vicenda. E poi c’è lo stupro dell’estate del 2010, quello che Valentina ha raccontato solo a una persona, una che non le ha creduto (e che ha deciso di credere al suo stupratore): suo fratello. Quello stupro è diventato un tabù, uno stigma grosso come una casa che Valentina ha cercato di far stare dentro una piccola ‘x’ tatuata sull’anulare. Fino a quando ha deciso di non provare più a contenerlo e rimpicciolirlo. Allora si è riappropriata della sua voce e della sua storia, per non lasciare che altri potessero farlo al posto suo bianchettando parti e scarabocchiando correzioni qua e là. La sua storia si chiama X ed è gigante. 

Questa è la mia storia brutta raccontata male:  i postumi del mio stupro, eccoli qui.

X, Valentina Mira, Fandango libri (2021)

Lo stupro di X non parla di mostri malvagi o aggressori spietati. Non è quello stupro su cui puoi costruire un pezzone sensazionalìstico di cronaca nera infarcito di pornografia della violenza. Quello che viene narrato è uno stupro banale; uno stupro normale di “uno stupratore normale in un quartiere normale di un paese normale: nessun mostro, nessuna martire, nessun livido, solo un po’ di sangue sul letto.” 

Come un fiore, un grosso papavero rossissimo, una macchia di sangue è sbocciata sul lenzuolo, a testimonianza di una volontà precisa. La stessa volontà che più volte ho espresso a parole. Completamente in trance, tocco quel sangue – il mio sangue – con un dito. Se c’è sangue, c’è stata lotta. Ammiro il modo in cui il mio corpo ha provato a resistere più di me.

Ma questo stupro banale è sviscerato in tutta la sua complessità: X non è un libro sullo stupro o su un singolo stupro, e non racconta solo la storia di Valentina. È anche la storia di una società che lo stupro è abituata a legittimarlo subdolamente, ed è la storia di tanti stupri banali e normali, mai denunciati, taciuti e portati dentro, che scavano ‘x’ nella pelle di chi li ha subiti e fortificano chi li ha praticati.

E abbiamo bisogno di parlare degli stupri banali e di chiamarli con il loro nome, perché è troppo facile puntare il dito contro la violenza quando è brutale, flagrante e innegabile, ma è molto più difficile riconoscerla e smascherarla quando si camuffa da passione e desiderio.

X va a dissotterrare la cultura dello stupro che si annida all’intersezione tra il sessismo maschilista e il retaggio fascista, e riesce a renderla manifesta e tridimensionale. È quella cultura che si sforza di escogitare modi di normalizzare lo stupro, di assolvere e deresponsabilizzare gli stupratori e di colpevolizzare le vittime, lasciandole senza voce, senza parole e senza strumenti di difesa o di elaborazione o di resistenza o di contrattacco. 

“Aho, che c’hai Valenti’?”

Eh. Che c’ho. C’ho un buco nero dentro la pancia, ecco che c’ho. C’ho Eva che ha morso la mela – sennò il serpente chissà che le faceva, ma tanto la sua versione non interessa a nessuno, non la sappiamo, è incognita -, c’ho le streghe che bruciano di hangover, c’ho un senso di colpa che non dovrei avere perché non è colpa mia ma nessuno me l’ha detto né me lo dirà e quindi eccolo qui, il senso di colpa ancestrale, eccolo che fa bisboccia nella pancia insieme a Eva e alle altre streghe nell’inferno della mia vergogna senza nome.”

Non è [solo] l’episodio di stupro a rimescolarti l’intestino durante la lettura: è il senso di nausea, di viscido che ti rimane appiccicato addosso a ogni nuovo incontro con uomini abituati a invadere lo spazio personale delle donne, a ignorare i ‘no’ e i rifiuti, a provare a piegarli per farli diventare dei ‘sì’ muti; sono i capi che abusano della gerarchia e trasformano la precarietà e la subalternità lavorativa in subordinazione sessuale e le dipendenti in prede facili; sono gli uomini in divisa che ti chiedono di uscire con loro appena dopo aver ascoltato e minimizzato la tua (tentata) denuncia di stupro. 

Credo che una delle tante forze di questo libro sia quella di portare a galla la reale motivazione che c’è dietro tanti stupri. Perché chi stupra lo fa? La risposta è tanto banale quanto disarmante: perché può farlo. Tutto si riduce a una questione di potere e privilegio, strumenti consegnati da una società che incita metà popolazione ad andarsi a prendere quello che vuole – spazio, voce, visibilità –  e l’altra metà a contenersi, rimpicciolirsi e sfilare, docile e sorridente, sotto lo sguardo dominante e giudicante della prima metà.  

Ora, parliamoci chiaro: da questa cultura dello stupro non se ne esce limitandosi a ripetere che ‘no significa no’. Questa è una narrazione troppo superficiale del consenso, che non vuole sforzarsi di vedere tutta la complessità del problema. Perché i ‘no’ delle donne non conteranno mai niente finché non le renderemo libere di dire ‘sì’ senza che questo venga usato contro di loro come arma di giudizio, condanna, discredito e, infine, controllo e assoggettamento; finché non verrà riconosciuto loro il diritto all’autodeterminazione sessuale; finché non smetteremo di crescere (aizzare) uomini predatori e (ammansire) donne prede. 

E tutto questo non è possibile senza parlare chiaramente di un tema del quale anche la narrazione attuale della cultura dello stupro fa fatica a parlare: il sesso. La visione dominante della sessualità coltiva la dinamica dello stupro, prepara il terreno per la violenza sessuale: non solo ne è la causa, ma determina anche l’impatto che lo stupro, l’abuso, la violenza sessuale ha sulle vite di chi lo pratica e lo subisce.

Per gli uomini il sesso è sempre un’occasione di vincita, di acquisizione, di ottenimento di qualcosa – virilità, divertimento, onore, fascino; per le donne è un rischio di perdita – di verginità, purezza, dignità, credibilità, rispettabilità. Se già il sesso (quello consensuale, voluto) ha risvolti potenzialmente punitivi e lesivi sul vissuto femminile, lo stupro può avere effetti distruttivi e ridurre le donne a vittime impotenti ed estremamente vulnerabili fino alla perdita del senso di sé.

Ma non dev’essere per forza così: questo è il messaggio che vorrei che passasse di più negli ambienti dove oggi, finalmente, di stupro se ne parla. 

X parla anche di questo: di sesso. E di resistenza, di liberazione e riappropriazione del senso di sé. 

E ci sono due parti in particolare per le quali ho ringraziato silenziosamente la sua autrice mentre le leggevo.

Una è quella in cui Valentina racconta le motivazioni per le quali non è riuscita a confidare lo stupro alla madre e ritorna a una confessione precedente, quella della priva volta in cui aveva fatto l’amore con un ragazzo. Confessione che pensava – sperava – sarebbe stata accolta con un abbraccio materno e che invece le era costata la libertà, trasformando la protezione materna in controllo totale sulla sua vita.

[…] se il sesso era sbagliato quando era consenziente […] potevo mai scegliere te come confidente dopo uno stupro?

Come potevi capire? Se il sesso è tutto sbagliato e sanzionabile, che differenza c’è tra dirti che ho fatto l’amore e che sono stata stuprata? Tanto, in entrambi i casi sono io ad aver sbagliato qualcosa.

[…] Se il sesso è tutto sbagliato, allora non lo è mai. Neanche quando non lo vuoi. Tanto è sempre tua la colpa. Sia che scopi, sia che ti stuprano: è sempre colpa tua. E non è mai responsabilità di nessuno, neanche quando lo è. Neanche quando è reato.

L’altra parte è quella in cui Valentina torna autrice della propria trama di vita e rivendica il diritto di autodeterminarsi. 

Per un maschio scopare è considerato da fichi. Si dice che una chiave che apre tante porte è una gran chiave, mentre una serratura che si lascia aprire da più chiavi è una pessima serratura. Si dice che voi siete chiavi e aprite le porte delle vostre vite; e che noi siamo stupide serrature e dobbiamo giocare in difesa. Io è da tempo che ho deciso di essere chiave. Di non aspettarmi che altri mi aprano con scasso, mai più; al contrario, di aprirmele io, le mie porte.

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