#thisisnotconsent protesta consenso irlanda
#thisisnotconsent protesta consenso irlanda

#thisisnotconsent: quando la violenza sulle donne è invisibile

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne esiste perché la violenza contro le donne è ancora una delle forme di violazione dei diritti umani più perpetrate e diffuse a livello globale e un enorme ostacolo verso il raggiungimento di una parità effettiva dei diritti.

A volte si manifesta in forma di violenza fisica, a volte è psicologica e talmente sottile da rimanere invisibile ai più. Troppo spesso rimane impunita e molte volte non viene denunciata per vergogna.

Negli ultimi giorni la violenza sulle donne è stata al centro di un dibattito che da nazionale si è trasformato in globale passando per il diventare virale sui social media.

Se aprire Instagram fa parte della vostra quotidianità come accendere la tv probabilmente vi è capitato di scorrere foto di perizomi postate insieme all’hashtag #thisisnotconsent.

Ma partiamo dall’antefatto.

In Irlanda, durante il processo per un caso di abuso sessuale da parte di un uomo di 27 anni su una ragazza di 17, l’avvocato del presunto aggressore avrebbe usato il perizoma indossato dalla presunta vittima durante la notte dell’aggressione come prova di consenso sessuale.

Secondo l’avvocato, il perizoma, da solo, rappresentava l’apertura della ragazza verso atti di natura sessuale.

Stando a quanto riportato dalle testate, a conclusione dell’arringa l’avvocato difensore avrebbe invitato la giuria (di 8 uomini e 4 donne) a considerare il fatto che la ragazza indossasse un “perizoma di pizzo” prima di esprimersi. Dopo un’ora e mezza di deliberazione, la giuria ha presentato il verdetto che giudicava l’uomo ‘non colpevole’.

La vicenda ha aperto un dibattito globale sul tema del consenso: a seguito della diffusione della notizia centinaia di donne hanno sfilato per le strade delle maggiori città irlandesi mostrando perizomi e cartelli con l’hashtag #thisisnotconsent per protestare contro una cultura che giudica e scredita le donne sulla base degli indumenti indossati.

 

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La protesta è arrivata anche dentro le mura del Parlamento irlandese, dove una deputata ha estratto dalla manica un perizoma di pizzo di fronte a tutti, per chiedere al governo di stabilire delle leggi che non permettano di colpevolizzare la vittima di violenze sessuali per fattori come gli indumenti indossati.

Dalla prima menzione avvenuta il 10 di novembre, l’hashtag sta facendo il giro del mondo, con più di 16mila menzioni su Instagram.

 

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I can’t believe that in a rape trial a lawyer can really be allowed to state that wearing a lacy thong means to be open to meeting someone and therefore to having consensual sex. It’s outrageous. But this happened in Ireland only a few days ago and there was a protest in Dublin with women marching under the #thisisnotconsent claim. This is my small illustrated tribute to this cause. A thong is not consent. A cute dress is not consent. A no is a no. No matter the make up, the dress, the underwear. I feel so angry and ashamed of the world I’m living in. . . . #thisnotconsent #thong #weshouldallbefeminists #feminism #womenempowerment #illustration #maricazottino #womenrights #ibelieveher @ibelieveherireland

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Il messaggio che stanno urlando a gran voce migliaia di donne è che un pezzo di stoffa, più o meno grande, più o meno sexy, non può in nessun caso rappresentare il consenso a nessun atto di natura sessuale.

Il consenso può essere espresso solo e unicamente da una persona, non da un indumento.
Perché gli stupratori non stuprano vestiti ma persone.

Quello che è successo in Irlanda accade regolarmente in molti altri stati del mondo, soprattutto quelli nei quali sussistono ancora molti tabù e stigma nei riguardi del sesso e della sessualità. è un fenomeno riconosciuto e ha un nome: victim blaming – in italiano “colpevolizzazione della vittima”.

Si tratta di un fenomeno piuttosto frequente che interessa i processi per episodi di abuso sessuale durante i quali le donne che abbiano subito violenze vengano screditate e colpevolizzate dall’avvocato difensore del presunto aggressore chiamando in causa fattori come il tipo di indumenti indossati, il numero di partner sessuali, il fatto di trovarsi nel posto sbagliato o l’assunzione di alcol o droghe.

Fuori dai tribunali succede tutte le volte in cui una persona dimostra incredulità di fronte alla denuncia di un abuso o ne sminuisce la gravità. É quello che spesso scoraggia le vittime a denunciare gli abusi.

Quello che si vuole contrastare, in questa giornata contro la violenza sulle donne, è anche questo: una violenza psicologica, invisibile e sottile, che si aggiunge al fardello di quella perpetrata fisicamente su una vittima di abuso sessuale, vittimizzandola una seconda volta.

Si tratta di contrastare i pregiudizi e gli stereotipi riferiti agli abusi sessuali che servono come scusante per l’aggressore e fanno gravare la colpa della violenza sulla vittima: l’idea che la vittima se lo sia cercato lo stupro, indossando indumenti provocanti o con atteggiamenti promiscui; l’idea che gli uomini semplicemente non siano in grado di controllarsi una volta che sono eccitati sessualmente, e quindi il consenso a baciarsi o fare del petting si trasforma automaticamente in consenso ad avere un rapporto sessuale. E tanti altri.

Più in generale si tratta di contrastare una cultura che ancora vede le donne come il sesso vulnerabile, passibile di subordinazione.

Se davvero volessimo cambiare le cose, dovremmo partire dalle basi e armarci di uno strumento tanto potente quanto risolutorio: l’espressione chiara e forte della consensualità.

Ovvero uscire dagli schemi mentali e dai giochini psicologici di preda/predatore, dove la donna debba solo e sempre dir di no, volendo per questo sottendere che quel no potrebbe diventare un sì con solo un po’ di insistenza.

Il ‘No’ non può significare nient’altro che ‘no’ ma soprattutto il ‘Sì’ dev’essere espresso chiaramente, dobbiamo dirlo con fierezza e ad alta voce senza paura di fare qualcosa di socialmente disdicevole in quanto donne.

 

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Il ‘no’ che è quasi un sì o un sì sottinteso ci espone tutte a dei pericoli che nessuna donna merita di tollerare un giorno di più.

Ne ho parlato approfonditamente in questo articolo, dove mi sono chiesta cosa sia il consenso e cosa possiamo fare per costruire una cultura del consenso solida e realmente utile.

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