house of burlesque 2.0 london show leaflet
House of Burlesque show at Leicester Square in London Christmas 2017

Burlesque 2.0: la rivoluzione si fa sui tacchi a spillo e con le mestruazioni

Mi sono sempre immaginata il Burlesque come un tripudio di corpi sodi di seducenti ballerine che agitano le piume, slacciano i corsetti, sbattono le ciglia e roteano i seni facendo danzare i pendenti dei copricapezzoli a ritmo di musica. Un connubio coreografico di femminilità, erotismo e sensualità che rapisce gli sguardi curiosi degli spettatori in attesa che venga svelato il prossimo centimetro di pelle.

Quando un amico mi ha regalato un biglietto per lo spettacolo di Burlesque che sarebbe andato in scena sul palco natalizio di Leicester Square sapevo che era arrivato il mio momento.

La cornice era perfetta: una Londra brulicante di persone pronte a rendere memorabile un sabato sera gentilmente fresco di novembre; Leicester Square in versione natalizia, profumata dall’aroma di pancake e scaldata dal vapore del mulled wine (versione anglosassone e meno saporita del vin brulé); uno Spiegeltent (struttura di legno simile a un tendone) in perfetto stile anni ’20 pronto per raccogliere gli applausi e le ovazioni di un pubblico caloroso.

La locandina con la silhouette di una showgirl delineata dai dettagli fluorescenti del costume e il titolo House Of Burlesque 2.0 mi aveva preparata ad uno show non tradizionale.

Presentazione dello spettacolo House of Burlesque: 2.0

Ero pronta ad una rivisitazione futuristica al neon, e infatti lo spettacolo è stato aperto dalla riproduzione digitale di un volto di donna con voce robotica e non sono mancate performance a luci spente con hula hoop luminosi roteanti al ritmo di musica dubstep.

Quello a cui non ero pronta era un esercito di showgirls femministe dirette da Miss Tempest Rose, l’audace regina dello show determinata a riscattare il Burlesque come forma d’arte ed a rivendicare i diritti di tutte le donne del mondo al grido di f*ck that sh*t.

Padroneggiando l’arte dell’oratoria, del canto e del ballo, la voluttuosa presentatrice ha condotto lo show come una rappresentazione in chiave satirica/cabarettistica dei grandi temi dell’attualità, dai toni incalzanti, provocatori ed impertinenti.

Con i suoi costumi elaborati, la lingerie sensuale e i copricapezzoli tempestati di brillantini ammaliava gli occhi degli spettatori, metre con la voce profonda e penetrante risvegliava le loro menti, recitando un monologo pungente.

Il messaggio è arrivato forte e chiaro fino all’ultima fila: il Burlesque non è un becero spogliarello ma una spettacolare celebrazione della donna, indipendente dalla taglia dei jeans e dal colore della pelle; una donna sensuale ed intrigante ma non per questo meno intelligente, che non può essere giudicata per i centimetri di pelle che decide di scoprire. F*ck that sh*t!

miss tempest rose house of burlesque 2.0
Miss Tempest Rose [1]

Uscendo temporaneamente di scena, Miss Tempest Rose affidava il palco al suo esercito di showgirls che mentre si spogliavano degli strati di balze, piume, lustrini e merletti, si liberavano anche di qualche sassolino nella scarpa. E mentre avanzavano verso il pubblico, infilavano il tacco a stiletto nelle piaghe dell’età contemporanea. Tra un guanto sfilato e un reggiseno sganciato sono partite frecciatine sulla Brexit e riflessioni sul ruolo della donna nella società contemporanea.

Prima è arrivato il momento di una Venere del Botticelli animata che, stanca di rimanere passivamente immobile a farsi guardare, è smontata dalla conchiglia.

Poi quello dell’alter ego sexy di Jack Sparrow che nascondeva, sotto il costume piratesco, una tutina semitrasparente con uno scheletro glitterato. Volutamente sgraziata, ha ballato sul sound Hip-hop/rap di Opulence, ripetutamente interrotta da messaggi promozionali, fino a ribellarsi con un plateale This is bullsh*t! alla natura invasiva della pubblicità.

Per qualche minuto lo spettacolo si è anche spinto al limine del buon gusto e ha congelato gli applausi (per lo meno i miei). Sulle note di She’s a Lady una curvy showgirl rossa di capelli e di bianco (s)vestita ha iniziato a spogliarsi mimando crampi mestruali e fitte al seno, mostrando al pubblico prima un guanto macchiato di rosso, poi lo slip. La performance si è conclusa sulle note di una non casuale Bad Blood, portando l’attenzione sulla tampon tax, bersaglio contemporaneo di proteste universali.

Poi la quiete dopo la tempesta: gli applausi si sono finalmente liberati leggeri davanti alla performance energica di una ballerina talentuosa che si è esibita nei panni della Josephine Baker nella sue versione più celebre, vestita di un gonnellino di banane.

spettacolo ispirato a josephine baker
Alix Ross nei panni di Josephine Baker [2]

In prossimità della chiusura, la troupe al completo si è esibita con bastoni e divise militari inneggiando all’impegno delle suffragette nella lotta per il riconoscimento della piena dignità delle donne. Con sguardo fiero rivolto al pubblico hanno rispolverato lo slogan Deeds not words (Fatti, non parole) scritto all’interno della giacca sfilata a Miss Tempest Rose.

La parata di chiusura con mise minimali e ventagli di piume agitati per salutare il pubblico ha riappacificato gli animi e smorzato i toni. Quasi come fosse uno spettacolo di Burlesque senza il 2.0 alla fine.

Stranita ed incredula, mi sono alzata dalla sedia.
Mi ero seduta sperando di venire proiettata in uno scenario d’altri tempi e invece ero stata catapultata tra i grandi problemi irrisolti di una società ancora fortemente maschilista e patriarcale, chiamata ad unirmi all’hashtag di battaglia #FuckThatShit.

Domenica mattina, davanti ad un British pancake farcito con Italian honey, ho raccolto le mie riflessioni sulla serata.
Sul contenuto e l’importanza del messaggio non si discute: mai come oggi c’è bisogno di donne coraggiose e sicure di sé che, marciando su vertiginosi tacchi a spillo o dentro comode sneakers, vestite quanto meglio credano, vadano a prendersi quell’uguaglianza di genere che le spetta.
Semplicemente non mi sarei aspettata che uno spettacolo di burlesque fosse utilizzato come media per la diffusione di quel messaggio. In fondo non chiedevo altro che svagare la mente e indulgere al piacere della vista di seni che roteano e glutei separati da un filo di strass.

Domenica pomeriggio ho affidato i miei dubbi residui a Mr Google e il mio disappunto è diventato sintomo di ignoranza davanti alle risposte di Miss Wikipedia.
L’enciclopedia libera e collaborativa mi ha ricordato che il burlesque era nato, in origine, come spettacolo satirico, e proprio in Inghilterra, acquisendo nel tempo un carattere più comico e parodistico (burlesco, appunto). L’ondata vintage che negli anni ’90 ha rispolverato bustini vittoriani e ventagli di piume ne ha fatto un passatempo sempre più leggero, performato da ballerine sempre meno vestite, ribattezzato new-burlesque.

Era proprio di leggerezza che avrei voluto inebriarmi, assistendo ad uno spettacolo erotico che mi strappasse anche un sorriso, non che mi ricordasse platealmente che essere donna significa sanguinare una volta ogni 28 giorni. F*ck That Sh*t!


[1] [2] Fotografie The Burly Photographer

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