La prima volta che ho letto il nome di Lidia Ravviso era scritto nella descrizione di un post di Instagram pubblicato da Erika Lust – scrittrice, regista e produttrice diventata un riferimento nella pornografia femminista internazionale. Il post annunciava l’uscita di La fantasia di Beba, cortometraggio vagamente ispirato al cinema erotico italiano degli anni ‘70 e ‘80, che riscrive il personaggio della sex worker – la prostituta – sotto una luce più emancipante dal punto di vista femminile e femminista.

Il corto è stato diretto da Lidia Ravviso per XConfessions, un progetto di Erika Lust che raccoglie cortometraggi pornografici realizzati a partire da fantasie sessuali reali scritte da persone reali e sottoposte attraverso il sito web in forma anonima.
Prima di quello, Lidia Ravviso aveva diretto un altro corto, She Groped Me by the Groceries, sempre per Erika Lust e sempre per XConfessions.
E prima ancora, aveva fatto parte de Le Ragazze del Porno, collettivo di registe italiane con l’obiettivo di rappresentare le forme del desiderio e della sessualità umana libere dai condizionamenti di genere, orientamento sessuale e canoni estetici imposti, attraverso la realizzazione di una raccolta di corti porno d’autore. Parte del progetto è Insight, film che Lidia ha co-diretto insieme a Slavina, porno-attivista promotrice del post-porno.
Nell'articolo precedente ho provato a delineare il contesto all’interno del quale si è sviluppato quello che oggi viene definito porno femminista, ethical porn, porno indipendente, post-porno, e il lavoro di Erika Lust: L’altro porno: femminista, etico, indipendente
L'ultima tappa del suo percorso nel mondo della pornografia femminista indipendente si chiama Uncensored ed è un festival multidisciplinare sulla contaminazione tra pornografia, arte e attivismo, che Lidia ha curato in qualità di direttrice artistica. Succederà a Londra il 17, 18 e 19 maggio 2019 e si svilupperà attraverso un programma di workshop, performance, talk, tavole rotonde e proiezioni.
Quando io e I’m the Ph siamo arrivati a casa di Lidia, a Londra, col nostro solito stile - autoinvitandoci - ancora non sapevo che quella che avrei scambiato con lei sarebbe stata la conversazione sulla pornografia più interessante, intelligente, onesta e brillante che potessi avere.
La ringrazio ancora per il tempo e il fiato che ci ha dedicato (e per non aver cancellato l'intervista nuda causa raffreddore imprevisto).
Per quest’intervista abbiamo realizzato anche il file audio: chi se lo perde, si perde anche scambi frivoli del dietro le quinte e le incursioni di I'm the Ph tra uno scatto e una ripresa video. Siete stati avvisati.
Ora cominciamo.
Chi è Lidia Ravviso?
[E già si ride]
Veramente è la prima volta che mi fanno questa domanda. Non sto scherzando, è la prima volta, quindi è difficile, perché sono più abituata a rispondere a “Cos’è il porno per te?”
Chi è Lidia Ravviso? Lidia Ravviso è un sacco di cose, speriamo, altrimenti sarei una persona noiosa. Sono nata in Svizzera più di 40 anni fa, da genitori italiani. Ho vissuto la mia infanzia in Svizzera, poi i miei genitori si sono separati ed ecco che sono arrivata in Italia - sud Italia, Puglia. Mi sono trasferita a Roma per l’università ed è da lì che poi forse si è definito chi è Lidia Ravviso. Ho cominciato a fare le mie esperienze, non solo lo studio ma anche tanta politica, ho militato per vent’anni nei centri sociali. È stato anche grazie a quei percorsi che poi ho incontrato il post-porno. Perché non posso dire di fare porno. Proprio in questi giorni, leggendo il libro di Stoya, mi sono resa conto che bisogna utilizzare queste categorie camminando in punta dei piedi. Io sono arrivata al post-porn, al porno femminista, all’ethical porn, o come lo vogliamo definire, grazie a dei percorsi politici dove prima incontravo le battaglie LGBT, queer, mi avvicinavo a questo mondo che per me era nuovo, soprattutto venendo dal sud Italia, nonostante io abbia una famiglia molto open-minded. E da lì si cominciava a parlare di porno, anche in ambiti femministi, quindi ambiti in cui non era scontato o in cui il porno poteva essere controverso. Quindi, chi è Lidia? Lidia dopo vent’anni di Roma si è stufata di Roma, si è stufata dell’Italia perché sentivo strettissima questa cultura opprimente; dopo vent’anni di militanza e di impegno politico mi sono sentita un po’ tradita da me stessa, dal paese, da dei percorsi che ho fatto, non ne potevo più.
(L'Italia) Non è un paese per donne, e sicuramente non è neanche un paese per la pornografia per come la intendiamo noi.
Ti limitava anche da un punto di vista professionale?
Non mi ha limitata da un punto di vita professionale su quello che faccio adesso, su tutta l’esperienza che ho sul porno. Questo percorso è andato avanti sulle sue gambe. Mi ha limitata vivere in Italia semplicemente essendo una donna. Mi sono resa conto che in alcuni ambiti, un po’ perché ero una donna, un po’ perché non avevo le conoscenze giuste, un po’ perché non volevo avere quelle conoscenze o non volevo fare quel percorso che non è meritocratico, quindi non tiene conto delle esperienze che uno ha fatto, delle proprie capacità, mi limitava. E purtroppo limita tantissime mie colleghe, infatti io ultimamente sto cercando di lavorare con direttori della fotografia donne, non perché abbia un’ossessione nel voler lavorare con le donne ma perché mi sono resa conto che ci sono meno possibilità di lavoro per loro in quanto donne. Quindi almeno io, quando sono nel ruolo di director o producer, cerco di mettermi in contatto con loro. Non è un paese per donne, e sicuramente non è neanche un paese per la pornografia per come la intendiamo noi.
Per artisti e creativi in generale, temo.
Sì, non ci sono soldi, non c’è il giusto approccio e, come ho detto prima, forse uno degli elementi per me più importanti che mi hanno fatto lasciare l’Italia è che non c’è un sistema meritocratico. Dopo anni e anni che ti sbatti, può diventare molto frustrante.

Quindi come sei approdata nell’industria del porno femminista/etico/indipendente/d’avanguardia? Dall’ambito di militanza?
Sì, soprattutto in questi posti a Roma come il Forte Prenestino - dove poi abbiamo girato l’ultimo film per Erika Lust - cominciammo a fare discorsi su come mettere le mani su questo men’s club della pornografia; cominciammo a conoscere registe, performer, attiviste fuori dall’Italia. Una reference per me fortissima fu Diana Pornoterrorista. Cominciavo a vedere che c’erano persone che si approcciavano a queste tematiche in modo rivoluzionario, che poteva diventare uno strumento di liberazione anche per noi. Per me, per esempio, conoscere Silvia Slavina, l’attrice e co-autrice con cui ho fatto Insight, è stato sicuramente importante. In uno di questi percorsi che abbiamo fatto insieme, lei stava organizzando un workshop di scrittura pornografica, erotica, per registe italiane a Roma (nonostante lei viva a Barcellona). Non mi ricordo neanche bene come accadde, però quelle che poi diventarono ‘Le Ragazze del Porno’ ebbero il proprio primo incontro durante questo workshop. Monica Stambrini e Tiziana Lo Porto avevano già messo su questo progetto che si chiamava My Sex, che era più trasversale, quindi coinvolgeva anche scrittrici, attrici, e che nasceva appunto dall’esigenza di riflettere sulla sessualità da un punto di vista diverso, chiamiamolo femminile, ma comunque diverso da quello mainstream. Ci incontrammo durante questo workshop, se non sbaglio furono due giorni incredibili di scrittura ma anche di messa in pratica di quello che avevamo scritto, girammo anche due scene, e lì decidemmo di continuare il percorso. Si incominciava a parlare di qualcosa che fosse un po’ più indirizzato al video, alla produzione cinematografica, anche perché la maggior parte di noi veniva da quel tipo di esperienza, e da lì nacque poi il team di ‘Le Ragazze del Porno’, quello che poi ha messo su il crowdfunding e che ha prodotto i due film all’attivo del progetto.
I film sono Insight [di Lidia Ravviso e Slavina] e Queen Kong, di Monica Stambrini e con Valentina Nappi. Queste sono le due produzioni di ‘Le Ragazze del Porno’. Con Silvia Slavina abbiamo anche fatto una versione live di Insight, una performance che fu presentata l’anno scorso a Deep Trash qui a Londra. Questa è stata l’evoluzione.
Hacker Porn Film Festival 2017 - Premio Miglior Cortometraggio Italiano per INSIGHT di Lidia Ravviso e Slavina
Cos’è che cambia nel porno femminista o… come lo chiamiamo?
Io lo chiamo porno femminista perché rivendico il mio percorso femminista. Mi rendo conto che può essere limitante per qualcuno, secondo me è un approccio abbastanza inclusivo che però anche molte donne a volte non capiscono. Quindi si può chiamare ethical porn, post-porn. Quello che io ho cercato di fare, sia con Le Ragazze del Porno che poi quando sono passata a lavorare per XConfessions, il progetto di Erika Lust, era di raccontare delle storie - sicuramente con una sessualità esplicita - con una mia particolare attenzione, ossessione per i personaggi, e gli attori di conseguenza.
Noi vogliamo fare cinema e raccontare delle storie. La parte sessuale di queste storie non dovrebbe essere né il core né l’elemento morboso della narrazione.
E infatti qua ti chiedo: cosa cambia nel porno femminista rispetto al porno di massa, mainstream? Le fantasie rappresentate, le prospettive, gli attori, il tipo di personaggio, la rappresentazione delle scene…?
Cambia lo sguardo, secondo me. Lo sguardo dello scrittore, del regista e del produttore. E quello sguardo diverso sicuramente influenza la storia, la scelta degli attori, la scelta dei corpi che tu vuoi mettere in scena, che sono corpi diversi da quelli del porno mainstream. Cambia, secondo me, anche un’attenzione alla qualità, perché purtroppo il genere porno a un certo punto è stato declassato, è diventato solo intrattenimento o ha avuto solo una funzione masturbatoria. Per farti un esempio, ultimamente ho visto un documentario su Rocco Siffredi. I film di Rocco sono girati secondo una funzione di entertainment, ma ci sono delle cose molto belle che ho visto girate sui suoi set dal regista del documentario. Ho pensato vedi come cambia il punto di vista? Quindi non è solo una questione di punto di vista femminile, è proprio il dire noi vogliamo fare cinema e raccontare delle storie. La parte sessuale di queste storie non dovrebbe essere né il core né l’elemento morboso della narrazione. Sicuramente nel momento in cui io faccio un progetto come quello di XConfessions per Erika Lust so che, come dire, ho una scena porno da consegnare, ma quella scena per me fa parte di una storia. Per cui il primo stimolo per me è trovare la storia giusta, le location, gli attori e, se quella cosa mi piace, probabilmente è anche perché c’è l’elemento sessuale che io ho l’opportunità di raccontare secondo il mio punto di vista, secondo quello che discuto insieme agli attori, perché quella è l’unica parte del film che scrivo meno rispetto al resto. Il processo è quello cinematografico, di qualsiasi altro film. Mentre negli anni ’70, nella Golden Age del cinema porno, non era così, purtroppo ormai si è perso quasi del tutto questo gusto per la narrazione.
Diciamo che adesso c’è il porno da una parte e poi ci sono i film erotici e in mezzo c’è questo grande gap.
Ecco, sì, anche questa è un’osservazione interessante. Non dovrebbe esserci un confine così stretto.
Se vuoi trovare l’elemento che fa maggiormente la differenza, io direi, ancor più delle storie, ancor più della qualità, sono i corpi. La tipologia di corpo, di sessualità che viene proposta, che è ridicola perché non è aderente alla realtà.
Anzi, è diventato il corpo del porno. Si è ribaltata forse la prospettiva. Quando vedi una persona nella realtà che ha quelle fattezze, la riconduci a una persona del porno, addirittura. Perché hanno talmente venduto un modello di corpo, un cliché, che è entrato nella cultura mainstream.

Il porno oggi viene considerato, diciamo, il posto in cui i ragazzini (i giovani ma anche i meno giovani) si formano sulla sessualità. L’industria cinematografica del porno, in generale, mainstream e non, dovrebbe includere alcune dinamiche reali e cercare di fare, in un certo senso, cultura? Che funzione deve avere?
Allora, io su questo dirò una cosa un po’ controcorrente rispetto a tutte le mie colleghe feminist pornographers. Io non penso che il porno possa sostituire l’educazione sessuale. È un’illusione ed è una cavolata, secondo me. Sicuramente lavorando in questo settore - e io non mi permetterei mai di dire che lavoro nel porno tout court, perché di fatto non lo è - io ho la fortuna di poter esprimere un linguaggio ed educare - tra milioni di virgolette - come vorrei io, secondo la mia prospettiva. Ma l’educazione sessuale si impara in altri ambiti. Quello che noi possiamo fare è cercare di migliorare il livello di condizione dei lavoratori dell’industria e di proporre sempre più storie che ci ispirano, ci piacciono, ma non ci possiamo sostituire a un’educazione che manca in famiglia o che manca nella scuola, o semplicemente non ci possiamo sostituire all’esperienza. Molti ragazzi guardano porno e non hanno neanche mai fatto sesso. Ovviamente io non sono contenta se il messaggio che arriva dalla maggior parte delle robe che guardano è negativo, ma allo stesso tempo non sono neanche per censurare quel tipo di pornografia che noi diciamo che è sbagliata ma che io stessa, da consumatrice, trovo eccitante. Quello che andrebbe fatto è contestualizzare il porno. Se io so quello che accade alle spalle di una scena hardcore, dove la donna viene presa e le viene buttata la testa nel cesso, se io vedo il making of del video, se io sento le interviste agli attori, se io capisco il contesto, allora si sta facendo un servizio di educazione. Quindi il problema è più legato alla distribuzione, perché se chi fruisce lo fa solo attraverso video piratati è normale che gli arrivi la scena hardcore di quella con la testa sbattuta nel cesso e quello è, non c’è più nient’altro da capire. Quindi è una risposta molto complicata. Nel proprio piccolo ognuno fa quel che può. Anche rispetto al fatto che il porno non tocca delle fantasie sessuali individuali, io non posso negare che quello che poi Lidia Ravviso cerca su Youporn tu lo troveresti sconvolgente pensando che io sono una feminist pornographer. Ma il mio posizionamento politico è una cosa; un’altra cosa sono le mie fantasie, un’altra cosa sono i film che io voglio produrre. Quello che io vado a cercare ti assicuro che non è sicuramente femminista.
Non potevo sperare in risposta migliore. Io la penso esattamente come te e forse è l’educazione sessuale che sta mancando di spiegare cos’è il porno e cos’è il sesso. Quello è il ruolo dell’educazione sessuale. Sicuramente nel porno si può lavorare per renderlo quantomeno più diversificato, a livello di scena, di corpi, non tagliare il making of e tutto quello che c’è dietro alla produzione di un porno, l’aspetto del rispetto, dell’attenzione alla sicurezza, del consenso, e spiegare che la finalità ultima è l’entertainment ma che dietro c’è un percorso.
Guardo con grande interesse, per esempio, quello che stanno facendo i paesi nord-europei con l’educazione non-gender a scuola. Oppure è fondamentale che le company si assumano la responsabilità di fare fuori dalle loro produzioni gli attori, o le attrici - ma guarda caso sono sempre gli attori - che non rispettano le parole di sicurezza. Adesso ho visto che James Deen [celebre attore porno americano accusato di abuso sessuale, prima da parte di Stoya, ex fidanzata, e poi da altre performer dell'industria pornografica] è stato reintrodotto a lavorare in company che l’avevano messo sul libro nero. Quella è una scelta che non va bene, per il consenso, la sicurezza. Ma sul linguaggio e sulle fantasie sessuali che noi andiamo a esprimere, si entra nel discorso della censura e di cose che sono difficili, è troppo soggettivo.
Ci tenevo al concetto che il porno non è educazione sessuale.
No. Manda un messaggio, volente o nolente, però dev’essere contestualizzato in una vita sessuale in cui il tuo unico riferimento al sesso non sia il porno. È nell’intimità con una persona che tu capisci quali sono i limiti, che tu ti educhi al sesso.

Quale pensi che sia, oggi, la percezione mainstream (non all’interno di dinamiche in cui si è già aperti a un discorso di inclusività, ma da parte di chi non sa nulla) del porno femminista?
Abbastanza positiva nel senso della curiosità. La gente è curiosa. Vedo reazioni completamente opposte tra l’Italia e l’Inghilterra. In Italia, con molti uomini, quando ne parlo, la prima reazione è “da paura, posso fare l’attore?” Il messaggio che arriva a me è che tu, per il semplice fatto di avere un attributo in mezzo alle gambe, pensi di poter fare l’attore porno oppure che queste battute siano simpatiche, facendomi capire in mezzo secondo che non hai nessun rispetto, cognizione di causa sul lavoro che sto facendo. Qui sono molto più polite, quindi non la fanno questa battuta, ovviamente. A parte gli scherzi, in generale credo ci sia una grossa curiosità. Se la persona ha già dei suoi pregiudizi e una propria idea rispetto a queste tematiche e soprattutto rispetto a donne che lavorano con queste tematiche, c’è poco da fare. L’esperienza de Le Ragazze del Porno in Italia fu molto ridicola perché suscitò una reazione di grandissimo interesse, peccato che poi nessuno voleva produrre questi film oppure non si voleva mai esporre in prima persona. È un interesse che è morboso, tante volte. Probabilmente è un primo passaggio, perché la gente deve entrare in contatto con questa roba. Credo che le persone capiscano che tu stai cercando di fare qualcosa dal punto di vista del linguaggio diverso, ma non so fino a che punto onestamente. Qui mi sembra che sia molto diffuso. Qui quando dico che lavoro per Erika Lust sanno tutti chi è. Mentre prima evitavo di dirlo subito, soprattutto quando facevo le interview, i colloqui di lavoro, adesso mi sono resa conto che è cool che tu lavori per Erika Lust, perché comunque l’hanno letto su Vice, perché comunque c’è il documentario su Netflix. Come qualsiasi altra cosa, quando diventa pop, la gente non si pone neanche più il problema di quel che sia.
Ci sono dei miti da sfatare? C’è qualcuno che pensa ‘porno femminista’ quindi è soft oppure fa godere solo le donne?
Sì, sì, purtroppo c’è questo bruttissimo mito da sfatare. L’ho sentito tante volte ma purtroppo, devo dire la verità, solo in Italia. “Questo è il porno per le casalinghe annoiate”. Ecco perché poi io, quando faccio le scene di sesso, mi sono resa conto - confrontandomi con altri film prodotti ultimamente e soprattutto She Groped Me by the Groceries, che non è hardcore però è tutt’altro che soft porn - che cerco di tenere alta quella roba lì, che, ripeto, è quello che io cerco quando cerco porno che mi piace. E poi dico, Cosa pensi? Che a me non piaccia fare l’hardcore? Anzi, io voglio sperimentare proprio con quello. Però sì, c’è questa idea che facciamo le cose soft.
E infatti mi è piaciuto il fatto che tu non vada a snaturare il porno. Quello è porno, punto.
Sì. Insight era diverso, chiaramente, trattando solo la masturbazione femminile come tema. Per qualcuno è stato “non ha il coraggio, ha voluto fare il soft porn”. No, è perché lì a me interessava quello; per me la masturbazione femminile era qualcosa di rimosso dal mainstream porn, che non vedevo come volevo vedere. Poi io lì avevo scelto la storia, quello che avevamo scritto era una storia legata al concetto di voyeurismo, di guardare e essere guardati, più una riflessione metà cinema, metà porno. In quel caso non me ne fregava niente di mettere in mezzo la penetrazione, perché non era funzionale alla storia. Ma lì, la prima critica (anche da donne eh?! E colleghe) è stata “hai voluto fare una cosa soft”. No, è che quella storia richiedeva quello, che poi tanto soft non era perché molti amici - maschi, eterosessuali - erano disgustati dall’aver visto questa figa così da vicino, questa ripresa così ginecologica. Per loro era scioccante perché quella era una mancanza nell’immaginario porno mainstream.

Questa sovraesposizione alla pornografia e alla sessualità, è un arricchimento o un impoverimento per la tua vita sessuale privata?
È un arricchimento per quanto riguarda, come dire, il mio panorama di ricerca, quello che ancora io devo scoprire. Quest’anno, per dirti, sono entrata un po’ più nel mondo fetish. Però è un abbassamento della mia libido. Quando sono proprio in pre-produzione, produzione e montaggio, non ne voglio sapere. Zero libido, questo è brutto effettivamente.
Ecco, questo è un aneddoto carino. In She Groped Me by the Groceries c’è una scena in cui lei si appende. L’ho voluta fortemente ma era quasi impossibile da fare, per le dimensioni del posto. Abbiamo dovuto attaccare due ganci. E Luke [Hotrod, l'attore protagonista] non la voleva fare perché diceva “ma non è possibile, il mio pisello non può entrare in diagonale in quel modo”. E io dicevo “si può fare, ti dico che ce la facciamo”. E lui mi fa “Ok proviamola” - “Chi?” - “Io e te”. Ovviamente vestiti. Però lì mi ricordo di aver avuto un attimo di brivido. Questa è veramente una cazzata però!
Beh, siamo umani alla fine.
Beh sì, io gli attori li scelgo perché devono piacere, poi ovviamente non ho nessun tipo di emozione, di partecipazione nei loro confronti, però se io ho scelto quella faccia c’è un motivo. Se io ho scelto Luke Hotrod è perché, intanto, era perfetto per la storia, perché stavo cercando un ragazzo inglese, un po’ rough, perché piace, a me piace. È una bella faccia, è espressivo. E idem per Magena Yama. Magena l’ho cercata a lungo, l’ho stalkerata, poverina. Perché ho trovato questa modella e ho pensato stupenda sta ragazza, mi piace un sacco, però non avevo il coraggio di chiederle se volesse fare porno, perché sapevo che non l’aveva mai fatto. A un certo punto feci un incubo terrificante sognando lei e tutta un’apocalisse che si sarebbe abbattuta su di me e non la contattai per un sacco di tempo. Qua esce la meridionale, lo spirito del Sud. Poi mi sono fatta coraggio, aveva la faccia giusta. L’ho contattata “Ciao, sono Lidia, vorrei fare questo film con Erika Lust, so che non hai mai fatto porno, scusa se te lo chiedo”. Perché non sai mai come la prende una persona. E lei subito mi disse sì.

Parliamo della collaborazione con Erika Lust.
Sì, Erikona.
Che ormai è diventato il nome di riferimento: il porno femminista oggi è Erika Lust. Com’è lavorare per Erika Lust? Ci sono delle linee guida che devi rispettare? Cosa succede quando entri nel mondo di Erika Lust?
Allora, non lo dico perché siamo davanti alle telecamere ma veramente mi ritengo fortunatissima, non si potrebbe avere produttrice migliore. Questo proprio lo dico col cuore in mano. Com’è lavorare con Erika? Praticamente è successo che noi siamo entrate in contatto perché io avevo fatto Insight con Le Ragazze del Porno, lei l’aveva visto, le era piaciuto e quindi nel primo approccio lei ci propose di distribuirlo sui suoi siti. Lei poi ha questa call sempre aperta per guest director, che è un processo in realtà molto semplice. Nel mio caso è stato un po’ più facile perché lei già aveva visto come giravo, quindi sapeva più o meno con chi aveva a che fare. Tu puoi presentare la tua storia, la tua proposta di attori, location eccetera, poi loro la valutano in team e se decidono che è un prodotto che piace si stabilisce un budget, ti danno il budget e tu giri il film. Le linee guida, sai che non ho mai… forse mi hanno anche dato un foglio da leggere con le linee guida, però siccome siamo proprio sulla stessa lunghezza d’onda, come dire, è chiaramente un tipo di porno di produzione erotica dove sicuramente non racconti un’esperienza di abuso. Dal punto di vista mio, di director, è la situazione ideale in cui lavorare con un produttore perché non ti rompe le palle sul set, non sta ogni due secondi a controllare cosa stai facendo. C’è una fiducia molto alta, che per loro è anche un rischio, io l’ho apprezzato tantissimo, significa essere molto rilassati. Forse capiscono con chi hanno a che fare. Per cui non ci sono delle linee guida. Ovviamente noi dobbiamo consegnare una scena di sesso, perché altrimenti non si chiamerebbe porno e faremmo un altro tipo di film. Chiaramente l’unica cosa fondamentale è la sicurezza degli attori, per cui test, analisi, loro controllano tutto, ma anche io. E poi fare in modo che il clima, in generale - quello me l’hanno detto tante volte - sia molto sereno. Bisogna discutere molto con gli attori. Con Magena siamo diventate amiche, per me è fondamentale discutere con gli attori, mi interessa proprio capire anche il loro punto di vista. L’ho sempre fatto con naturalezza. E poi bisogna dire che Erika veramente sta segnando un passaggio importante nell’industria perché lei ha avuto l’intelligenza di capire anche come aprire agli altri. Nel momento in cui ha avuto successo, non si è chiusa nella sua torretta d’avorio, ha coinvolto sempre più artisti con cui c’è uno scambio, sta sperimentando linguaggi nuovi. C’è anche una parte di XConfessions dedicata ai fotografi, agli illustratori, è un progetto a 360 gradi.
Sì, questo è bello. Non ha creato un altro dogma, uno stereotipo.
No, è un piacere lavorare con quella produzione. Non ti obbligano a fare nulla. Nel caso di La fantasia di Beba c’è stato un problema che non era, però, rispetto alla scelta che avevo fatto io sulla storia. Ci siamo resi conto che, essendoci il tema del sex working, dovevamo probabilmente sviluppare una discussione intorno. Lavorare con Erika, in questo contesto specifico, è stato un valore aggiunto perché abbiamo discusso tanto del perché, del per come, di quali erano le mie reference, del fatto che poteva essere un terreno delicato, che qualcuno si poteva sentire urtato, da un punto di vista femminista (così com’è stato), e chi invece lavora nell’ambito del sex working poteva sentire che io mettevo le mani su una roba non mia. Lì la produzione è stata importante per com’è intervenuta. Hanno chiamato Isa Mazzei, che è la co-writer di Cam, il film prodotto da Netflix, che ha avuto molto successo. Lei, ex sex worker che sta lavorando nel cinema come sceneggiatrice, ha scritto un essay che è stato pubblicato sul blog di Erika e che ha contribuito a portare avanti la discussione, anziché fermarsi su eventuali polemiche o discussioni che potevano nascere (che poi in realtà non sono nate). C’è un grande senso di responsabilità da parte mia e c’è stata anche da parte della produzione, di dire cavolo, stiamo affrontando questo argomento, avviciniamoci in punta di piedi, facciamo in modo di tenere altro il senso di responsabilità che noi abbiamo rispetto a questa cosa. E rispetto al mio percorso politico era importante, perché se una mia compagna femminista mi dice “questa cosa è offensiva” a me non scivola addosso. Allo stesso tempo, io ho la mia visione artistica, che ho difeso, perché alcune persone con cui avevo parlato prima di girare il film, che avevano letto la storia, pensavano che la storia fosse offensiva, non potenziante dal punto di vista femminile. C’era anche il fatto del dialogo tra gli attori, che per me è molto autentico. Forse chi viene da Roma, chi è italiano, lo capisce meglio. Il fatto che lui le parli in un certo modo, quella è la realtà dei fatti, io non devo addolcire nessuna pillola. Non riesco veramente a capire come quella storia possa essere vista non potenziante da un punto di vista femminile e femminista. Ecco, lo volevo sottolineare perché credo sia molto importante che, non solo da parte mia, ma da parte di una produzione così grossa, che è sulla bocca di tutti, ci sia stata una costante attenzione a non trattare la cosa con superficialità. Purtroppo c’è una mia amica con cui non parlo più. Senza che lei neanche abbia visto il film, ma solo per aver letto la storia. Beh, una delle cose che mi sono state dette è anche che io non ho mai avuto esperienze di prostituzione, quindi non posso parlarne. Ma questo è una cavolata. Ho anche fatto un documentario sulla Palestina e chiaramente non sono palestinese, ma cosa vuol dire? Di che cosa parlo come film maker? Solo di quello che mi sono mangiata a colazione? Sono d’accordo che ci debba essere un’attenzione alla ricerca, la ricerca è importantissima, tu non ti butti in mezzo a una roba senza sapere di cosa si tratta, no?
Ti puoi confrontare con persone che in quell’ambito ci sono, però non devi averlo per forza vissuto sulla tua pelle.
No, se no che facciamo noi registi? Non parliamo di niente, solo biografie. Daniele Vicari quando fece il film Diaz sul G8 di Genova, che ha fatto? Io lo so perché stavo ancora nei centri sociali e venivo anch’io da quell’esperienza ed eravamo tutti spaventati da come un occhio esterno potesse raccontarla. Questo è un esempio che forse non c’entra nulla, però lo sento molto vicino. Si è informato, ha lavorato con le persone che avevano vissuto quell’esperienza e il film, che può piacere o meno, e secondo me è fatto molto bene, certo ha la sua visione artistica, ma con alle spalle un lavoro di ricerca per cui tu non puoi negare a quella persona di fare quel film. L’importante è che ci sia un’onestà intellettuale rispetto all’argomento.
Mi sono dimenticata di chiederti una cosa, poi torniamo sul discorso sex working. Visto che il porno femminista è di per sé una corrente abbastanza recente, quali sono i tuoi riferimenti a livello di regia?
Non faccio proprio riferimento al cinema porno, né al porno femminista. Faccio riferimento al cinema in generale. Anzi, le mie reference sono tutt’altro. Per Beba è stato particolare perché avevo chiaramente in testa, dal punto di vista fotografico, Tinto Brass.
Ti fermo qua. La fantasia di Beba.
Tra l’altro, gli XConfessions sono tutti sviluppati a partire da fantasie sottoposte dal pubblico. Ma anche La fantasia di Beba?
No, dipende dai progetti. In questo caso c’è un racconto di Agnese Trocchi che ha scritto questo libro di 69 storie erotiche bellissime. Io ho trovato il racconto di Beba e ho proposto a Erika di lavorare su quello perché mi piaceva.
She Groped Me by the Groceries, per esempio, nasce perché trovai questa storia scritta da un utente sul sito di XConfessions. Non so chi sia questa persona, credo sia un uomo italiano, il nickname si chiama dieyoungstaypretty, e scrive delle storie pazzesche. Infatti ce n’è un’altra che ho letto e che vorrei mettere in scena.
E tu ti sei confrontata con lui?
No, perché tu non sai chi siano.
Quindi tu parti dalla fantasia e hai la responsabilità di trasformarla in qualcosa che non va a scontentare quello che si era immaginato chi l’ha scritta e neanche chi la andrà a vedere.
Non hai contatto con l’autore. Infatti, proprio giorni fa, ero su Xconfessions che stavo cercando di capire i comments su Beba, poi mi sono detta fammi andare a vedere She Groped Me by the Groceries, è un secolo che non controllo. E trovo lui che commenta dicendo grazie, l’avete realizzato, non ci posso credere. E io ero emozionatissima. Non so chi sia, so che è un lui per un dettaglio che adesso non ricordo. E quella storia fu pubblicata sull’Italian section, quindi immagino sia italiano. Scrive delle storie pazzesche.
E tu ti senti la responsabilità di tramutarle in video?
Sì, poi in She Groped Me by the Groceries io ho aggiunto la ricetta finale che non c’era.
Quanto hai modificato?
Lavoro molto sulla sceneggiatura, modifico.
Anche perché chi scrive la fantasia non fa il tuo mestiere.
L’idea della storia era proprio quella, loro che si incontrano al supermercato eccetera eccetera. Però non c’era questa cosa della ragazza italiana e del ragazzo inglese, quindi io in tempi di Brexit ho detto vabbè prendiamo un po’ per il culo gli inglesi con quello che si mangiano. Questa è stata l’unica motivazione frivola per cui io ho cambiato.
Siamo su La fantasia di Beba, che rende un po’ omaggio al cinema erotico italiano e a quello che viene universalmente riconosciuto come il maestro.
Infatti mi vergogno che loro l’abbiano pompato così, io non volevo che neanche uscisse il nome di Tinto Brass, però purtroppo ho avuto l’inaccortezza di nominarlo a un certo punto.
Quindi adesso devi andare a ringraziare Tinto Brass.
Mi ammazza se mi trova, non lo so.
Beh visto che questa cosa è uscita, adesso devi rispondere alle domande.
Cos’hai portato dentro La fantasia di Beba del cinema erotico italiano di Tinto Brass?
Un po’ i colori, un po’ la sensualità, un po’ quell’ironia dei personaggi. Per me quel dialogo, che qualcuno può vedere come offensivo, è super ironico. E poi, ecco, Tinto Brass aveva anche portato la figura della prostituta nel cinema. Su quello prendo una distanza, come la prendo da Bunuel e tanti altri, nonostante siano grandi maestri, per cui mi vergogno anche a dire “prendo una distanza”. Però la verità è che io determinati film li ho amati, massimo rispetto, ma c’era sempre qualcosa che un po’ non mi tornava. In realtà molto meno in Tinto Brass, che ha quella goliardia giusta, secondo me, per rendere tutto abbastanza leggero. Però è chiaramente uno sguardo maschile il suo (che mi piace, tantissimo). Mi sono rivista, proprio in occasione del film, Monella. Forse è quello che nei colori lo ricorda un po’ di più. Però alzo le mani, grande maestro Tinto Brass. Ma è anche vero quello che poi abbiamo discusso con il team di Erika, ed ecco perché poi c’è stato quell’articolo di Isa Mazzei: è vero che ci sono differenti modi di rappresentare la prostituta nel cinema e che un determinato sguardo maschile molto spesso ha relegato queste figure - che erano sì di grande sensualità, conturbanti e tutto - con una storia intorno che era molto debole rispetto al personaggio. Ma ripeto, anche la Belle de Jour ha lo stesso problema, non solo Tinto Brass. È proprio una questione dell’epoca, dei registi di quell’epoca. Ovviamente si è sempre dato spazio a uomini, quindi il racconto è dal loro punto di vista. Però la cinematografia di Tinto Brass per il nostro cinema è veramente una grande risorsa.
Tra l’altro abbiamo guardato Paprika prima di questa intervista.
Sì, ecco, lì il finale è un po’… sai, la questione del fidanzato, non è la donna che tu ti aspetti che sia, consapevole delle sue scelte. Però poi di fatto il personaggio è effervescente. Lui ha avuto quella capacità.
Non si capisce fino a che punto lei ci sguazza in questa cosa qua e si diverte…
Ma a lei le piace! Ma chiaramente. Però non si può dire fino in fondo. Tinto Brass penso lo sapesse. Lo sa, perché altrimenti non avrebbe mai costruito dei personaggi così potenti.
A me è piaciuto un sacco l’utilizzo della musica.
È fighissimo Tino Brass. La fotografia…
Tra i commenti che ho letto su Beba, nel sito, ce n’è uno di un ragazzo - non so di dove sia, comunque parla perfettamente inglese - che parte proprio da Tinto Brass, dicendo “io invece c’ho trovato tanto, grazie, hai fatto bene sia ad averlo come reference sia un po’ a criticare l’approccio”; un altro che diceva “yes I remember those movies, amazing, mi hai fatto proprio venire voglia di mangiare un gelato in riva al mare” [il gelato si riferisce alla scena conclusiva del film]. Quella roba lì, che per noi in Italia l’eros passa pure per il gelato sulla spiaggia, la sabbia, il sole che scotta sulla pelle, la pelle secca del mare… quelle robe che se tu vieni da un paese mediterraneo, soprattutto quand’eri piccolo, sai che il tuo immaginario erotico si è costruito lì, e lui l’ha restituito perfettamente. Ma anche nei paesaggi aperti, quel verde…
Che tu hai ripreso.
Sì. Ma un po’ è stato inconsapevolmente, era dentro di me. Quando ho parlato con la direttrice della fotografia le ho detto “guarda, stiamo attenti a Tinto Brass come reference”, però mentre giravo non ci pensavo. E neanche quando ho scelto il vestito di Beba, che molti mi hanno detto “sembra la gonnellina di Monella”. No, non ci ho pensato, è dentro di me probabilmente.
Cos’è che rende La fantasia di Beba un porno femminista, al contrario dei film di Tinto Brass?
Questa sua capacità di autodeterminarsi, di essere consapevole del fatto che va incontro al pericolo. Un po’ la metafora era che qualunque donna, se decide di scendere in strada da sola, verrà fermata da qualcuno; qualcuno le andrà a dire “ma tu a chi appartieni?” oppure “se non appartieni a nessuno sei mia”. È una metafora un po‘ del fatto che uno non abbia la libertà di fare come cacchio gli pare nella propria vita. Lui le dice il prezziario, le dice “ma tu appartieni a quel pappone, a quell’altro”, lei “no”. Non sappiamo neanche se Beba stia realmente andando incontro a una scelta di prostituzione. Anche per quello quel finale: con quei soldi ti ci compri il gelato. Che può essere visto un po’ irriverente rispetto al fatto che lo scambio di soldi presuppone che tu abbia bisogno di quei soldi. È questo forse, molto più del fatto che io non sia una sex worker, l’elemento che può essere delicato. Ma per me è proprio la provocazione di dire “non seguo il tuo prezziario, non appartengo a nessun pappone e mi ci vado a comprare un bel gelato alla fine, se mi va”. Questa libertà di autodeterminarsi e di disporre del proprio corpo come si vuole. E un po’ era strizzare l’occhio al fatto che la fantasia di prostituzione è, appunto, anche una fantasia. Il film si chiama La fantasia di Beba, e può essere ancora più delicato, e per qualcuno offensivo, pensare che quello che per qualcun altro è un’esigenza possa diventare una fantasia. Ma noi non lo possiamo negare, perché io stessa, così come altre persone, posso avere una fantasia legata a quella roba lì. Discorso sulla censura, di nuovo: che facciamo? Non ce lo diciamo? O guardiamo in faccia la realtà e capiamo che è la contestualizzazione delle cose che ti porta il messaggio in un certo modo? Ma non puoi negare che esista.
Per quanto riguarda il discorso delle sex worker, pensi che una rappresentazione cinematografica più corretta possa migliorare la percezione del sex work e della figura delle sex worker anche nella vita reale?
Sì, tutto quello che ci arriva attraverso la comunicazione dei media, l'entertainment, naturalmente delinea il nostro immaginario. Per alcuni il sex working è ancora qualcosa di molto distante. Purtroppo, come ho detto, non si può sostituire ad altre forme di educazione che sono scadenti, soprattutto nel nostro contesto culturale. Anche Cam, il film scritto da Isa Mazzei, apre una luce nuova sulla figura della cam girl, ti fa entrare più in contatto con la daily life, quelli che sono i problemi che uno incontra. È comunque un mestiere che chiede tanto.
Anzi, in quel caso, la protagonista sceglie di continuare a fare quello che fa, il suo lavoro, nonostante le abbia distrutto la vita.
Sì, infatti ho apprezzato molto il finale.
È inaspettato. Di solito la narrazione della sex worker è completamente diversa da quella, in qualsiasi film, non solo nel porno.
Sì, viene appunto vittimizzata, è debole, soccombe. In quel caso lei sta quasi per soccombere, perché ovviamente il film porta al paradosso il fatto che tu non abbia più il controllo della tua identità, che per le cam girl è molto più pesante rispetto ad altri tipi di sex work, per l’immagine, e il film lo spiega benissimo. Se tu non sei costantemente connesso perdi il tuo pubblico, quindi diventa anche difficile gestire la tua vita privata. Però la scelta finale del film è molto onesta. Dei lavori così contribuiscono sicuramente a creare una riflessione più ampia sul sex working.
Come attrici non valiamo niente, ma i libri che fingiamo di leggere meritano attenzione: Philosophy, Pussycats, and Porn di Stoya; Good Porn. A Woman's Guide, di Erika Lust
Quando dirigi un film, hai un pubblico in mente? Ti crei una sorta di ideale di pubblico?
No, mai, non ho mai pensato al pubblico, ora mi ci stai facendo pensare tu. Cioè, non mi sono mai soffermata a pensare oh dio chi vedrà il mio film? No, in Beba mi sono posta il problema per il fatto che affrontava il sex working, ovviamente. Ho pensato cosa ne penserà una sex worker? E ho tremato, perché voglio portare rispetto a determinati percorsi. A livello di genere, non penso mai se è per un pubblico maschile o femminile. Io sono sicura che se metto in scena quello che a me eccita, probabilmente troverò altre persone che la pensano come me. Poi non tutti hanno gli stessi gusti. Però, come ti dicevo, sulla scena di sesso, io la giro come io la voglio vedere. Ho dovuto fare delle litigate mortali sul montaggio, perché io voglio vedere sempre l’attimo prima della penetrazione, proprio il secondo prima in cui il pene entra nella vagina. Quell’attimo per me è il più erotico di tutti, io lo rivedrei in loop, non lo so perché. Quindi quando sto girando la penetrazione sto attentissima perché so che quella cosa per me è importante. Ma non penso a chi può eccitare di più, se è una donna, perché una donna ha bisogno di vedere i passaggi, i preliminari, come dicono.
Quindi tu sei il primo pubblico di te stessa.
Sì!
Come viene percepita una regista donna in un ambito come il porno?
Nel porno femminista non c’è nessun problema. Siamo un po’ degli alieni, noi. Io ho lavorato anche come operatrice (non come Lidia Ravviso, non mettendo il mio nome) in un’esperienza di mainstream - anzi, era proprio porno amatoriale di bassa lega. Sono due mondi a parte. C’è pochissimo spazio nel mainstream per le donne. Nel porno femminista, nel post-porn, è un valore aggiunto, quindi è quasi più strano visto fare da un uomo. A di là del porno femminista, in tutti gli altri ambiti è uguale. Si parla del mondo del lavoro, quindi c’è esattamente lo stesso problema che tu hai se vuoi andare a lavorare in un bar o se vuoi insegnare. Poi ripeto, noi veniamo dall’iItalia, in Inghilterra è in un altro modo. Dipende molto più dal contesto culturale e politico del paese. C’è una grossa indifferenza tra l’Italia e l’Inghilterra. Proprio su Netflix vedevo questo documentario in cui il primo episodio era su Erika Lust e un’altra regista americana.
Hot Girls Wanted: Turned On! L'abbiamo visto.
Hai visto la regista americana [Holly Randall], per esempio, rispetto a Erika Lust? Sono due feedback completamente diversi. Quella è disperata e tu capisci che non c’è spazio per la sua visione, le sue idee, nonostante lei sia ‘figlia di’ [Suze Randall, prima fotografa donna per Playboy e una delle prime registe porno donne], abbia già un percorso, un nome. Poi senti l’intervista a Erika Lust, è tutto rosa e fiori, “non siamo in crisi ma anzi la nostra azienda continua a fatturare”. Sono due ambiti diversi. Poi ecco, anche leggendo la cara amica Stoya, che ora ha messo su una sua produzione, si stanno muovendo delle cose, tantissimo, però ce ne vuole ancora finché il mainstream accolga anche le cose portate da altre esperienze. Certo, finché il mainstream fa lavorare gente come James Deen, non so come ci possa essere una comunicazione fra i due ambiti. Leggevo che l’anno scorso, per la prima volta, non mi ricordo in quale super importante expo/salone internazionale del mondo mainstream, avevano fatto un incontro sul consenso: per la prima volta, che quindi è proprio un successone; I mean, meglio di così, in un contesto del genere. Quindi alcune cose si muovono, ma è molto difficile.
Il porno femminista è il porno del futuro o no?
No
Non ce la faremo mai, eh?
Ma non può esserlo. Poi dipende da cosa intendiamo per porno femminista. Che non vediamo più l’hardcore alla Rocco Siffredi? Quale sarebbe il futuro del porno femminista?
Semplicemente un porno, dal mio punto di vista, più diversificato. La diversificazione portata a livello mainstream.
Diciamo quindi che l’approccio del porno femminista venga inglobato. Questo sta succedendo un pochino, perché se tu vedi le ultime cose che ha fatto Stoya da regista e da produttrice, è sempre porn entertainment, però capisci che le condizioni di lavoro sono diverse, per i performer. Forse, forse, un po’ la qualità delle condizioni dei lavoratori può migliorare? Comunque questo non è merito del porno femminista, è più merito di una come Stoya, che ha denunciato quello che succede sui set. È merito di tutte le pornostar come lei che hanno quotidianamente a che fare con le gioie e i dolori di questo lavoro. Io sono un’outsider, faccio altro nella vita, poi faccio anche questo percorso, ma non mi posso sentire di dire che ho la scienza del porno in mano. Se tu andassi a parlare con una come Stoya ti saprebbe dare delle risposte che io non ho. Però lei, appunto, ha smosso tanto facendo uscire fuori il fatto che è un ambiente molto sessista ed è difficile per le pornostar farsi credere quando c’è un problema di abuso e di non consenso. Loro, queste dal mainstream che ultimamente stanno facendo questo tipo di lavoro, aiutano. Un personaggio come Valentina Nappi non aiuta, distrugge, fa il gioco della cultura più becera. Questo non lo faccio come critica perché ho qualcosa contro il personaggio o contro i film che fa, perché anche Stoya fa la stessa tipologia di film. Ma Stoya ti dice che le sue politiche, il suo posizionamento, sono femministi, mentre i suoi film non lo sono; quella [Valentina Nappi] ti dice che se vieni stuprata è colpa delle femministe. Quella roba lì è la morte del porno inteso come genere cinematografico e la morte del porno inteso come comunità di persone; è la morte del porno inteso come un contesto in cui si può far crescere una cultura del consenso, del rispetto eccetera eccetera. Valentina Nappi è il motivo per cui Le Ragazze del Porno si sono sciolte. La differenza la possono fare le persone che veramente contano qualcosa nell’industria del porno, io non conto un cazzo. O Erika Lust, perché ha messo su una produzione enorme e allora ha voce in capitolo. Ma ancora, il suo porno non è quello che la maggior parte dei ragazzini guarda, che manco sanno chi è Erika Lust. Se queste persone all’interno dell’industria smuovono delle cose, allora sì. Rocco Siffredi ha fatto il suo ultimo film (che io non ho ancora visto) dove lui ribalta completamente 30 anni di carriera. Non so se siano trent’anni, magari dico una cavolata, ma lui, che è sempre stato quasi l'artefice dell’hardcore, dove la donna viene sottomessa e ci sono delle scene molto violente… tra l'altro nessuna attrice si è mai lamentata di Rocco Siffredi perché, ecco, lì se tu vai a vedere il contesto ti rendi conto che è tutto ok. Nell’ultimo film si fa sottomettere, si fa mettere su una croce. Un po’ è particolare questa cosa, un po’ fa fa ridere, perché sembra che hai questo percorso cattolico attaccato qua, che nonostante tu abbia fatto trent’anni di porno non ce la fai proprio a levartelo e quindi devi uscire fuori come il martire per essere rivalutato. Vedo un senso di colpa molto pesante alle spalle. Però appunto, lui, film di fine carriera, si fa mettere sulla croce, sottomesso. Allora è li che sposti delle cose. Rocco Siffredi riesce a switchare alla fine della sua carriera. E comunque lui è il porno, è iconico. Io non voglio vedere un porno senza Rocco Siffredi, perché nella mia vita privata magari me la faccio pure mettere la testa nel cesso, una scopata così rough, ma come abbiamo detto dipende dal contesto. Quindi boh, chissà che ne sarà. Però io vorrei che tutte le tipologie di porno, compreso il porno più duro da digerire, fossero contemplate e si facesse più attenzione al contesto, comunicazione, distribuzione e lavoro con gli attori.
Però i contenuti sono quelli, anche quelli più violenti, c’è qualcuno a cui interessano.
Rocco Siffredi ti prende la testa e te la mette nel cesso, ma non succede niente. James Deen ti scopa su una balaustra che se lui si sbaglia tu muori perché sei caduta al piano di sotto. Quindi questa è anche la differenza. Fino a che punto la scena violenta mette a repentaglio la vita dell’attrice e l’attrice si deve sentire veramente alle prese con un sadico psicopatico?

Ti piace fare la regista di porno?
Sì, il mio sogno sarebbe fare solo questo, non sto scherzando. Parallelamente organizzo altre cose legate alla sessualità, festival. Ma se potessi vivere solo facendo film porno, come li vogliamo chiamare, sì, accetterei volentieri, mi piacerebbe molto.
Stai lavorando ad altri corti per Erika Lust?
Sì, sto scrivendo altri due cortometraggi. In teoria dovremmo cominciare a produrre qualcosa.
Altri progetti futuri?
Uno a cui tengo tantissimissimo, siccome per me questa passione è anche grande ispirazione e grande fonte di ricerca e di studio: sono stata 9 mesi con altre 2 persone a scrivere questo progetto su un festival [Uncensored] che coinvolgesse pornographers ma anche persone che lavorano su sex practices. Stavamo facendo una riflessione sulla censura. In particolare, in Inghilterra, c’è stato un ban* nel 2014 che praticamente andava a colpire quasi esclusivamente il piacere femminile, non tenendo in considerazione l’unica discriminante che dovrebbe essere fondamentale nella produzione pornografica, così come nella sessualità di tutti noi: il consenso. Adesso le cose stanno un po’ cambiando. In realtà questa nuova proposta va a incidere sulla regolamentazione generale, che in Inghilterra è antichissima. Invece i bans del 2014 erano altro. Bisogna vedere queste due cose come comunicano tra di loro. Ho preso la notizia molto positivamente, poi però, riflettendoci bene, loro stanno mettendo un’altra regola per verificare l’età, chiedendo di fare l’accesso dando i dati bancari, quindi sono tantissime cose su cui si sta ancora discutendo. Considerando il discorso che adesso fanno rispetto al consenso, il ban non avrebbe più motivo di esistere. Per esempio bannava female ejaculation, facesitting che secondo loro è pericolo di vita… il facesitting sì ma il pompino no, non si capisce come fai a non rimanere affogato da un pisello e invece rimanere affogato da una figa. Ovviamente non succede in entrambi i casi, ma per loro probabilmente uno dei due era più pericoloso. Anche abbastanza sconvolgente, venendo dall’Inghilterra, che è molto garantista su tutto. Quindi in teoria tutte queste cose dovrebbero crollare. Però quando abbiamo cominciato a scrivere il progetto eravamo ancora sull’onda di una forte preoccupazione per i bans del 2014 e l’assurdità del fatto che avessero colpito più il piacere femminile.

In questo paese ovviamente c’è produzione pornografica come nel resto del mondo, ma ci siamo rese conto che c’è poca attenzione e cultura rispetto alle sex practices. Quindi verso l'utilizzo di questi strumenti per creare legami fra le persone, per prevenire una cultura dell’abuso e far crescere invece una cultura del consenso. E volevamo in qualche modo mettere insieme un po’ tutte le esperienze fatte in Inghilterra. Ci sono dei casi esemplari di battaglie contro la censura vinte recentemente da persone che sono sia nell’ambito fetish che della produzione pornografica. Abbiamo delle esperienze di persone che hanno capito che una sessualità sana va costruita anche tramite l’educazione, che non può passare solo tramite la pornografia. In questo momento si sta cercando - ecco, forse questa è la nota positiva - di rendere il meccanismo pornografico più accessibile, in modo che la gente capisca quello che succede. Abbiamo i ragazzi di Sex School project che lavorano su questo. Vex Ashley, produttrice di Four Chambers, che è stata censurata, ha avuto problemi, così come tanti altri che portano la loro esperienza. Questo per me è al momento il progetto più importante che ho, anche se non mi coinvolge direttamente come film maker ma come direttore artistico. Ripeto, secondo me questa è una community, che cresce e che si muove attraverso la produzione cinematografica più stretta ma anche attraverso la performance art, l’attivismo, tante cose che stiamo cercando di mettere insieme in questo festival che accadrà a Londra il 17, 18, 19 maggio. Finito questo, ci sarà il film. Il mio calendario adesso è pubblico, non posso sgarrare.
Grazie.
*Nel 2014 il British Board of Film Censors (BBFC) ha richiesto che alla pornografia online on-demand si applicassero le stesse linee guida valide per il porno registrato e venduto su supporti fisici, impedendo alle produzioni pornografiche britanniche di rappresentare una serie di contenuti dichiarati ‘non accettabili’. La lista comprende atti sessuali come:
spanking (lo sculacciare), caning (punizione inflitta con un bastone), aggressive whipping (flagellazione violenta), penetrazione per mezzo di ogni oggetto “associato alla violenza”, abuso fisico o verbale (indipendentemente dal consenso), urolagnia (in italiano urofilia, la pratica di urinare nella bocca o sul corpo di un partner), gioco di ruolo di non adulti, costrizione fisica, umiliazione, eiaculazione femminile, strangolamento, facesitting (pratica in cui un partner si siede sul visto dell’altro provocando il contatto con i genitali) e fisting (penetrazione vaginale o anale di tutta la mano), dove le ultime tre pratiche sono considerate in grado di mettere in pericolo la vita stessa della persona che le subisce. Il ban ha fatto discutere per la censura posta apparentemente in misura maggiore sul piacere femminile visto che per alcune pratiche convenzionalmente femminili che sono state bannate, non sono stati bannati i corrispettivi maschili, massicciamente presenti nel porno mainstream. Non c’è infatti nessuna traccia di ban sull’eiaculazione maschile, sulla forced fellatio o irrumatio (fellatio violenta), o su altre pratiche potenzialmente pericolose messe in atto da performer uomini su performer donne (come doppia penetrazione anale).
Questo è quello che succedeva prima del coming out ogniqualvolta incontrassimo e/o intervistassimo qualcuno: si scattava una foto senza faccia - pubblica - e una foto con la faccia - privata, per ricordo. Sono troppo sentimentale per eliminarne una delle due, quindi le lascio qua entrambe.
Una veloce riflessione: prima dell'intervista io e Lidia non ci eravamo mai neanche viste in faccia. Il nostro trascorso consta di una manciata di messaggi e una chiamata di Whatsapp. La nudità - come stato naturale dell'essere umano - è anche questo: una scorciatoia per stabilire connessioni umane significative e sincere.