Intervista-nuda-Lidia-Ravviso

Lidia Ravviso: intervista nuda sul porno indie femminista

La prima volta che ho letto il nome di Lidia Ravviso era scritto nella descrizione di un post di Instagram pubblicato da Erika Lust – scrittrice, regista e produttrice diventata un riferimento nella pornografia femminista internazionale. Il post annunciava l’uscita di La fantasia di Beba, cortometraggio vagamente ispirato al cinema erotico italiano degli anni ‘70 e ‘80, che riscrive il personaggio della sex worker – la prostituta – sotto una luce più emancipante dal punto di vista femminile e femminista.

Sì, questo è bello. Non ha creato un altro dogma, uno stereotipo.
No, è un piacere lavorare con quella produzione. Non ti obbligano a fare nulla. Nel caso di La fantasia di Beba c’è stato un problema che non era, però, rispetto alla scelta che avevo fatto io sulla storia. Ci siamo resi conto che, essendoci il tema del sex working, dovevamo probabilmente sviluppare una discussione intorno. Lavorare con Erika, in questo contesto specifico, è stato un valore aggiunto perché abbiamo discusso tanto del perché, del per come, di quali erano le mie reference, del fatto che poteva essere un terreno delicato, che qualcuno si poteva sentire urtato, da un punto di vista femminista (così com’è stato), e chi invece lavora nell’ambito del sex working poteva sentire che io mettevo le mani su una roba non mia. Lì la produzione è stata importante per com’è intervenuta. Hanno chiamato Isa Mazzei, che è la co-writer di Cam, il film prodotto da Netflix, che ha avuto molto successo. Lei, ex sex worker che sta lavorando nel cinema come sceneggiatrice, ha scritto un essay che è stato pubblicato sul blog di Erika e che ha contribuito a portare avanti la discussione, anziché fermarsi su eventuali polemiche o discussioni che potevano nascere (che poi in realtà non sono nate). C’è un grande senso di responsabilità da parte mia e c’è stata anche da parte della produzione, di dire cavolo, stiamo affrontando questo argomento, avviciniamoci in punta di piedi, facciamo in modo di tenere altro il senso di responsabilità che noi abbiamo rispetto a questa cosa. E rispetto al mio percorso politico era importante, perché se una mia compagna femminista mi dice “questa cosa è offensiva” a me non scivola addosso. Allo stesso tempo, io ho la mia visione artistica, che ho difeso, perché alcune persone con cui avevo parlato prima di girare il film, che avevano letto la storia, pensavano che la storia fosse offensiva, non potenziante dal punto di vista femminile. C’era anche il fatto del dialogo tra gli attori, che per me è molto autentico. Forse chi viene da Roma, chi è italiano, lo capisce meglio. Il fatto che lui le parli in un certo modo, quella è la realtà dei fatti, io non devo addolcire nessuna pillola. Non riesco veramente a capire come quella storia possa essere vista non potenziante da un punto di vista femminile e femminista. Ecco, lo volevo sottolineare perché credo sia molto importante che, non solo da parte mia, ma da parte di una produzione così grossa, che è sulla bocca di tutti, ci sia stata una costante attenzione a non trattare la cosa con superficialità. Purtroppo c’è una mia amica con cui non parlo più. Senza che lei neanche abbia visto il film, ma solo per aver letto la storia. Beh, una delle cose che mi sono state dette è anche che io non ho mai avuto esperienze di prostituzione, quindi non posso parlarne. Ma questo è una cavolata. Ho anche fatto un documentario sulla Palestina e chiaramente non sono palestinese, ma cosa vuol dire? Di che cosa parlo come film maker? Solo di quello che mi sono mangiata a colazione? Sono d’accordo che ci debba essere un’attenzione alla ricerca, la ricerca è importantissima, tu non ti butti in mezzo a una roba senza sapere di cosa si tratta, no?
Ti puoi confrontare con persone che in quell’ambito ci sono, però non devi averlo per forza vissuto sulla tua pelle.
No, se no che facciamo noi registi? Non parliamo di niente, solo biografie. Daniele Vicari quando fece il film Diaz sul G8 di Genova, che ha fatto? Io lo so perché stavo ancora nei centri sociali e venivo anch’io da quell’esperienza ed eravamo tutti spaventati da come un occhio esterno potesse raccontarla. Questo è un esempio che forse non c’entra nulla, però lo sento molto vicino. Si è informato, ha lavorato con le persone che avevano vissuto quell’esperienza e il film, che può piacere o meno, e secondo me è fatto molto bene, certo ha la sua visione artistica, ma con alle spalle un lavoro di ricerca per cui tu non puoi negare a quella persona di fare quel film. L’importante è che ci sia un’onestà intellettuale rispetto all’argomento.

Mi sono dimenticata di chiederti una cosa, poi torniamo sul discorso sex working. Visto che il porno femminista è di per sé una corrente abbastanza recente, quali sono i tuoi riferimenti a livello di regia?
Non faccio proprio riferimento al cinema porno, né al porno femminista. Faccio riferimento al cinema in generale. Anzi, le mie reference sono tutt’altro. Per Beba è stato particolare perché avevo chiaramente in testa, dal punto di vista fotografico, Tinto Brass.

Ti fermo qua. La fantasia di Beba.
Tra l’altro, gli XConfessions sono tutti sviluppati a partire da fantasie sottoposte dal pubblico. Ma anche La fantasia di Beba?
No, dipende dai progetti. In questo caso c’è un racconto di Agnese Trocchi che ha scritto questo libro di 69 storie erotiche bellissime. Io ho trovato il racconto di Beba e ho proposto a Erika di lavorare su quello perché mi piaceva.
She Groped Me by the Groceries, per esempio, nasce perché trovai questa storia scritta da un utente sul sito di XConfessions. Non so chi sia questa persona, credo sia un uomo italiano, il nickname si chiama dieyoungstaypretty, e scrive delle storie pazzesche. Infatti ce n’è un’altra che ho letto e che vorrei mettere in scena.
E tu ti sei confrontata con lui?
No, perché tu non sai chi siano.
Quindi tu parti dalla fantasia e hai la responsabilità di trasformarla in qualcosa che non va a scontentare quello che si era immaginato chi l’ha scritta e neanche chi la andrà a vedere.
Non hai contatto con l’autore. Infatti, proprio giorni fa, ero su Xconfessions che stavo cercando di capire i comments su Beba, poi mi sono detta fammi andare a vedere She Groped Me by the Groceries, è un secolo che non controllo. E trovo lui che commenta dicendo grazie, l’avete realizzato, non ci posso credere. E io ero emozionatissima. Non so chi sia, so che è un lui per un dettaglio che adesso non ricordo. E quella storia fu pubblicata sull’Italian section, quindi immagino sia italiano. Scrive delle storie pazzesche.
E tu ti senti la responsabilità di tramutarle in video?
Sì, poi in She Groped Me by the Groceries io ho aggiunto la ricetta finale che non c’era.
Quanto hai modificato?
Lavoro molto sulla sceneggiatura, modifico.
Anche perché chi scrive la fantasia non fa il tuo mestiere.
L’idea della storia era proprio quella, loro che si incontrano al supermercato eccetera eccetera. Però non c’era questa cosa della ragazza italiana e del ragazzo inglese, quindi io in tempi di Brexit ho detto vabbè prendiamo un po’ per il culo gli inglesi con quello che si mangiano. Questa è stata l’unica motivazione frivola per cui io ho cambiato.

Siamo su La fantasia di Beba, che rende un po’ omaggio al cinema erotico italiano e a quello che viene universalmente riconosciuto come il maestro.
Infatti mi vergogno che loro l’abbiano pompato così, io non volevo che neanche uscisse il nome di Tinto Brass, però purtroppo ho avuto l’inaccortezza di nominarlo a un certo punto.
Quindi adesso devi andare a ringraziare Tinto Brass.
Mi ammazza se mi trova, non lo so.

Beh visto che questa cosa è uscita, adesso devi rispondere alle domande.

Cos’hai portato dentro La fantasia di Beba del cinema erotico italiano di Tinto Brass?
Un po’ i colori, un po’ la sensualità, un po’ quell’ironia dei personaggi. Per me quel dialogo, che qualcuno può vedere come offensivo, è super ironico. E poi, ecco, Tinto Brass aveva anche portato la figura della prostituta nel cinema. Su quello prendo una distanza, come la prendo da Bunuel e tanti altri, nonostante siano grandi maestri, per cui mi vergogno anche a dire “prendo una distanza”. Però la verità è che io determinati film li ho amati, massimo rispetto, ma c’era sempre qualcosa che un po’ non mi tornava. In realtà molto meno in Tinto Brass, che ha quella goliardia giusta, secondo me, per rendere tutto abbastanza leggero. Però è chiaramente uno sguardo maschile il suo (che mi piace, tantissimo). Mi sono rivista, proprio in occasione del film, Monella. Forse è quello che nei colori lo ricorda un po’ di più. Però alzo le mani, grande maestro Tinto Brass. Ma è anche vero quello che poi abbiamo discusso con il team di Erika, ed ecco perché poi c’è stato quell’articolo di Isa Mazzei: è vero che ci sono differenti modi di rappresentare la prostituta nel cinema e che un determinato sguardo maschile molto spesso ha relegato queste figure - che erano sì di grande sensualità, conturbanti e tutto - con una storia intorno che era molto debole rispetto al personaggio. Ma ripeto, anche la Belle de Jour ha lo stesso problema, non solo Tinto Brass. È proprio una questione dell’epoca, dei registi di quell’epoca. Ovviamente si è sempre dato spazio a uomini, quindi il racconto è dal loro punto di vista. Però la cinematografia di Tinto Brass per il nostro cinema è veramente una grande risorsa.

Tra l’altro abbiamo guardato Paprika prima di questa intervista.
Sì, ecco, lì il finale è un po’… sai, la questione del fidanzato, non è la donna che tu ti aspetti che sia, consapevole delle sue scelte. Però poi di fatto il personaggio è effervescente. Lui ha avuto quella capacità.
Non si capisce fino a che punto lei ci sguazza in questa cosa qua e si diverte…
Ma a lei le piace! Ma chiaramente. Però non si può dire fino in fondo. Tinto Brass penso lo sapesse. Lo sa, perché altrimenti non avrebbe mai costruito dei personaggi così potenti.
A me è piaciuto un sacco l’utilizzo della musica.
È fighissimo Tino Brass. La fotografia…
Tra i commenti che ho letto su Beba, nel sito, ce n’è uno di un ragazzo - non so di dove sia, comunque parla perfettamente inglese - che parte proprio da Tinto Brass, dicendo “io invece c’ho trovato tanto, grazie, hai fatto bene sia ad averlo come reference sia un po’ a criticare l’approccio”; un altro che diceva “yes I remember those movies, amazing, mi hai fatto proprio venire voglia di mangiare un gelato in riva al mare” [il gelato si riferisce alla scena conclusiva del film]. Quella roba lì, che per noi in Italia l’eros passa pure per il gelato sulla spiaggia, la sabbia, il sole che scotta sulla pelle, la pelle secca del mare… quelle robe che se tu vieni da un paese mediterraneo, soprattutto quand’eri piccolo, sai che il tuo immaginario erotico si è costruito lì, e lui l’ha restituito perfettamente. Ma anche nei paesaggi aperti, quel verde…
Che tu hai ripreso.
Sì. Ma un po’ è stato inconsapevolmente, era dentro di me. Quando ho parlato con la direttrice della fotografia le ho detto “guarda, stiamo attenti a Tinto Brass come reference”, però mentre giravo non ci pensavo. E neanche quando ho scelto il vestito di Beba, che molti mi hanno detto “sembra la gonnellina di Monella”. No, non ci ho pensato, è dentro di me probabilmente.

Cos’è che rende La fantasia di Beba un porno femminista, al contrario dei film di Tinto Brass?
Questa sua capacità di autodeterminarsi, di essere consapevole del fatto che va incontro al pericolo. Un po’ la metafora era che qualunque donna, se decide di scendere in strada da sola, verrà fermata da qualcuno; qualcuno le andrà a dire “ma tu a chi appartieni?” oppure “se non appartieni a nessuno sei mia”. È una metafora un po‘ del fatto che uno non abbia la libertà di fare come cacchio gli pare nella propria vita. Lui le dice il prezziario, le dice “ma tu appartieni a quel pappone, a quell’altro”, lei “no”. Non sappiamo neanche se Beba stia realmente andando incontro a una scelta di prostituzione. Anche per quello quel finale: con quei soldi ti ci compri il gelato. Che può essere visto un po’ irriverente rispetto al fatto che lo scambio di soldi presuppone che tu abbia bisogno di quei soldi. È questo forse, molto più del fatto che io non sia una sex worker, l’elemento che può essere delicato. Ma per me è proprio la provocazione di dire “non seguo il tuo prezziario, non appartengo a nessun pappone e mi ci vado a comprare un bel gelato alla fine, se mi va”. Questa libertà di autodeterminarsi e di disporre del proprio corpo come si vuole. E un po’ era strizzare l’occhio al fatto che la fantasia di prostituzione è, appunto, anche una fantasia. Il film si chiama La fantasia di Beba, e può essere ancora più delicato, e per qualcuno offensivo, pensare che quello che per qualcun altro è un’esigenza possa diventare una fantasia. Ma noi non lo possiamo negare, perché io stessa, così come altre persone, posso avere una fantasia legata a quella roba lì. Discorso sulla censura, di nuovo: che facciamo? Non ce lo diciamo? O guardiamo in faccia la realtà e capiamo che è la contestualizzazione delle cose che ti porta il messaggio in un certo modo? Ma non puoi negare che esista.

Per quanto riguarda il discorso delle sex worker, pensi che una rappresentazione cinematografica più corretta possa migliorare la percezione del sex work e della figura delle sex worker anche nella vita reale?
Sì, tutto quello che ci arriva attraverso la comunicazione dei media, l'entertainment, naturalmente delinea il nostro immaginario. Per alcuni il sex working è ancora qualcosa di molto distante. Purtroppo, come ho detto, non si può sostituire ad altre forme di educazione che sono scadenti, soprattutto nel nostro contesto culturale. Anche Cam, il film scritto da Isa Mazzei, apre una luce nuova sulla figura della cam girl, ti fa entrare più in contatto con la daily life, quelli che sono i problemi che uno incontra. È comunque un mestiere che chiede tanto.
Anzi, in quel caso, la protagonista sceglie di continuare a fare quello che fa, il suo lavoro, nonostante le abbia distrutto la vita.
Sì, infatti ho apprezzato molto il finale.
È inaspettato. Di solito la narrazione della sex worker è completamente diversa da quella, in qualsiasi film, non solo nel porno.
Sì, viene appunto vittimizzata, è debole, soccombe. In quel caso lei sta quasi per soccombere, perché ovviamente il film porta al paradosso il fatto che tu non abbia più il controllo della tua identità, che per le cam girl è molto più pesante rispetto ad altri tipi di sex work, per l’immagine, e il film lo spiega benissimo. Se tu non sei costantemente connesso perdi il tuo pubblico, quindi diventa anche difficile gestire la tua vita privata. Però la scelta finale del film è molto onesta. Dei lavori così contribuiscono sicuramente a creare una riflessione più ampia sul sex working.

Intervista-nuda-Lidia-RavvisoCome attrici non valiamo niente, ma i libri che fingiamo di leggere meritano attenzione: Philosophy, Pussycats, and Porn di Stoya; Good Porn. A Woman's Guide, di Erika Lust

Quando dirigi un film, hai un pubblico in mente? Ti crei una sorta di ideale di pubblico?
No, mai, non ho mai pensato al pubblico, ora mi ci stai facendo pensare tu. Cioè, non mi sono mai soffermata a pensare oh dio chi vedrà il mio film? No, in Beba mi sono posta il problema per il fatto che affrontava il sex working, ovviamente. Ho pensato cosa ne penserà una sex worker? E ho tremato, perché voglio portare rispetto a determinati percorsi. A livello di genere, non penso mai se è per un pubblico maschile o femminile. Io sono sicura che se metto in scena quello che a me eccita, probabilmente troverò altre persone che la pensano come me. Poi non tutti hanno gli stessi gusti. Però, come ti dicevo, sulla scena di sesso, io la giro come io la voglio vedere. Ho dovuto fare delle litigate mortali sul montaggio, perché io voglio vedere sempre l’attimo prima della penetrazione, proprio il secondo prima in cui il pene entra nella vagina. Quell’attimo per me è il più erotico di tutti, io lo rivedrei in loop, non lo so perché. Quindi quando sto girando la penetrazione sto attentissima perché so che quella cosa per me è importante. Ma non penso a chi può eccitare di più, se è una donna, perché una donna ha bisogno di vedere i passaggi, i preliminari, come dicono.
Quindi tu sei il primo pubblico di te stessa.
Sì!

Come viene percepita una regista donna in un ambito come il porno?
Nel porno femminista non c’è nessun problema. Siamo un po’ degli alieni, noi. Io ho lavorato anche come operatrice (non come Lidia Ravviso, non mettendo il mio nome) in un’esperienza di mainstream - anzi, era proprio porno amatoriale di bassa lega. Sono due mondi a parte. C’è pochissimo spazio nel mainstream per le donne. Nel porno femminista, nel post-porn, è un valore aggiunto, quindi è quasi più strano visto fare da un uomo. A di là del porno femminista, in tutti gli altri ambiti è uguale. Si parla del mondo del lavoro, quindi c’è esattamente lo stesso problema che tu hai se vuoi andare a lavorare in un bar o se vuoi insegnare. Poi ripeto, noi veniamo dall’iItalia, in Inghilterra è in un altro modo. Dipende molto più dal contesto culturale e politico del paese. C’è una grossa indifferenza tra l’Italia e l’Inghilterra. Proprio su Netflix vedevo questo documentario in cui il primo episodio era su Erika Lust e un’altra regista americana.
Hot Girls Wanted: Turned On! L'abbiamo visto.
Hai visto la regista americana [Holly Randall], per esempio, rispetto a Erika Lust? Sono due feedback completamente diversi. Quella è disperata e tu capisci che non c’è spazio per la sua visione, le sue idee, nonostante lei sia ‘figlia di’ [Suze Randall, prima fotografa donna per Playboy e una delle prime registe porno donne], abbia già un percorso, un nome. Poi senti l’intervista a Erika Lust, è tutto rosa e fiori, “non siamo in crisi ma anzi la nostra azienda continua a fatturare”. Sono due ambiti diversi. Poi ecco, anche leggendo la cara amica Stoya, che ora ha messo su una sua produzione, si stanno muovendo delle cose, tantissimo, però ce ne vuole ancora finché il mainstream accolga anche le cose portate da altre esperienze. Certo, finché il mainstream fa lavorare gente come James Deen, non so come ci possa essere una comunicazione fra i due ambiti. Leggevo che l’anno scorso, per la prima volta, non mi ricordo in quale super importante expo/salone internazionale del mondo mainstream, avevano fatto un incontro sul consenso: per la prima volta, che quindi è proprio un successone; I mean, meglio di così, in un contesto del genere. Quindi alcune cose si muovono, ma è molto difficile.

Il porno femminista è il porno del futuro o no?
No
Non ce la faremo mai, eh?
Ma non può esserlo. Poi dipende da cosa intendiamo per porno femminista. Che non vediamo più l’hardcore alla Rocco Siffredi? Quale sarebbe il futuro del porno femminista?
Semplicemente un porno, dal mio punto di vista, più diversificato. La diversificazione portata a livello mainstream.
Diciamo quindi che l’approccio del porno femminista venga inglobato. Questo sta succedendo un pochino, perché se tu vedi le ultime cose che ha fatto Stoya da regista e da produttrice, è sempre porn entertainment, però capisci che le condizioni di lavoro sono diverse, per i performer. Forse, forse, un po’ la qualità delle condizioni dei lavoratori può migliorare? Comunque questo non è merito del porno femminista, è più merito di una come Stoya, che ha denunciato quello che succede sui set. È merito di tutte le pornostar come lei che hanno quotidianamente a che fare con le gioie e i dolori di questo lavoro. Io sono un’outsider, faccio altro nella vita, poi faccio anche questo percorso, ma non mi posso sentire di dire che ho la scienza del porno in mano. Se tu andassi a parlare con una come Stoya ti saprebbe dare delle risposte che io non ho. Però lei, appunto, ha smosso tanto facendo uscire fuori il fatto che è un ambiente molto sessista ed è difficile per le pornostar farsi credere quando c’è un problema di abuso e di non consenso. Loro, queste dal mainstream che ultimamente stanno facendo questo tipo di lavoro, aiutano. Un personaggio come Valentina Nappi non aiuta, distrugge, fa il gioco della cultura più becera. Questo non lo faccio come critica perché ho qualcosa contro il personaggio o contro i film che fa, perché anche Stoya fa la stessa tipologia di film. Ma Stoya ti dice che le sue politiche, il suo posizionamento, sono femministi, mentre i suoi film non lo sono; quella [Valentina Nappi] ti dice che se vieni stuprata è colpa delle femministe. Quella roba lì è la morte del porno inteso come genere cinematografico e la morte del porno inteso come comunità di persone; è la morte del porno inteso come un contesto in cui si può far crescere una cultura del consenso, del rispetto eccetera eccetera. Valentina Nappi è il motivo per cui Le Ragazze del Porno si sono sciolte. La differenza la possono fare le persone che veramente contano qualcosa nell’industria del porno, io non conto un cazzo. O Erika Lust, perché ha messo su una produzione enorme e allora ha voce in capitolo. Ma ancora, il suo porno non è quello che la maggior parte dei ragazzini guarda, che manco sanno chi è Erika Lust. Se queste persone all’interno dell’industria smuovono delle cose, allora sì. Rocco Siffredi ha fatto il suo ultimo film (che io non ho ancora visto) dove lui ribalta completamente 30 anni di carriera. Non so se siano trent’anni, magari dico una cavolata, ma lui, che è sempre stato quasi l'artefice dell’hardcore, dove la donna viene sottomessa e ci sono delle scene molto violente… tra l'altro nessuna attrice si è mai lamentata di Rocco Siffredi perché, ecco, lì se tu vai a vedere il contesto ti rendi conto che è tutto ok. Nell’ultimo film si fa sottomettere, si fa mettere su una croce. Un po’ è particolare questa cosa, un po’ fa fa ridere, perché sembra che hai questo percorso cattolico attaccato qua, che nonostante tu abbia fatto trent’anni di porno non ce la fai proprio a levartelo e quindi devi uscire fuori come il martire per essere rivalutato. Vedo un senso di colpa molto pesante alle spalle. Però appunto, lui, film di fine carriera, si fa mettere sulla croce, sottomesso. Allora è li che sposti delle cose. Rocco Siffredi riesce a switchare alla fine della sua carriera. E comunque lui è il porno, è iconico. Io non voglio vedere un porno senza Rocco Siffredi, perché nella mia vita privata magari me la faccio pure mettere la testa nel cesso, una scopata così rough, ma come abbiamo detto dipende dal contesto. Quindi boh, chissà che ne sarà. Però io vorrei che tutte le tipologie di porno, compreso il porno più duro da digerire, fossero contemplate e si facesse più attenzione al contesto, comunicazione, distribuzione e lavoro con gli attori.
Però i contenuti sono quelli, anche quelli più violenti, c’è qualcuno a cui interessano.
Rocco Siffredi ti prende la testa e te la mette nel cesso, ma non succede niente. James Deen ti scopa su una balaustra che se lui si sbaglia tu muori perché sei caduta al piano di sotto. Quindi questa è anche la differenza. Fino a che punto la scena violenta mette a repentaglio la vita dell’attrice e l’attrice si deve sentire veramente alle prese con un sadico psicopatico?

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Ti piace fare la regista di porno?
Sì, il mio sogno sarebbe fare solo questo, non sto scherzando. Parallelamente organizzo altre cose legate alla sessualità, festival. Ma se potessi vivere solo facendo film porno, come li vogliamo chiamare, sì, accetterei volentieri, mi piacerebbe molto.

Stai lavorando ad altri corti per Erika Lust?
Sì, sto scrivendo altri due cortometraggi. In teoria dovremmo cominciare a produrre qualcosa.

Altri progetti futuri?
Uno a cui tengo tantissimissimo, siccome per me questa passione è anche grande ispirazione e grande fonte di ricerca e di studio: sono stata 9 mesi con altre 2 persone a scrivere questo progetto su un festival [Uncensored] che coinvolgesse pornographers ma anche persone che lavorano su sex practices. Stavamo facendo una riflessione sulla censura. In particolare, in Inghilterra, c’è stato un ban* nel 2014 che praticamente andava a colpire quasi esclusivamente il piacere femminile, non tenendo in considerazione l’unica discriminante che dovrebbe essere fondamentale nella produzione pornografica, così come nella sessualità di tutti noi: il consenso. Adesso le cose stanno un po’ cambiando. In realtà questa nuova proposta va a incidere sulla regolamentazione generale, che in Inghilterra è antichissima. Invece i bans del 2014 erano altro. Bisogna vedere queste due cose come comunicano tra di loro. Ho preso la notizia molto positivamente, poi però, riflettendoci bene, loro stanno mettendo un’altra regola per verificare l’età, chiedendo di fare l’accesso dando i dati bancari, quindi sono tantissime cose su cui si sta ancora discutendo. Considerando il discorso che adesso fanno rispetto al consenso, il ban non avrebbe più motivo di esistere. Per esempio bannava female ejaculation, facesitting che secondo loro è pericolo di vita… il facesitting sì ma il pompino no, non si capisce come fai a non rimanere affogato da un pisello e invece rimanere affogato da una figa. Ovviamente non succede in entrambi i casi, ma per loro probabilmente uno dei due era più pericoloso. Anche abbastanza sconvolgente, venendo dall’Inghilterra, che è molto garantista su tutto. Quindi in teoria tutte queste cose dovrebbero crollare. Però quando abbiamo cominciato a scrivere il progetto eravamo ancora sull’onda di una forte preoccupazione per i bans del 2014 e l’assurdità del fatto che avessero colpito più il piacere femminile.

UNCENSORED-festival-porn-activism-London

In questo paese ovviamente c’è produzione pornografica come nel resto del mondo, ma ci siamo rese conto che c’è poca attenzione e cultura rispetto alle sex practices. Quindi verso l'utilizzo di questi strumenti per creare legami fra le persone, per prevenire una cultura dell’abuso e far crescere invece una cultura del consenso. E volevamo in qualche modo mettere insieme un po’ tutte le esperienze fatte in Inghilterra. Ci sono dei casi esemplari di battaglie contro la censura vinte recentemente da persone che sono sia nell’ambito fetish che della produzione pornografica. Abbiamo delle esperienze di persone che hanno capito che una sessualità sana va costruita anche tramite l’educazione, che non può passare solo tramite la pornografia. In questo momento si sta cercando - ecco, forse questa è la nota positiva - di rendere il meccanismo pornografico più accessibile, in modo che la gente capisca quello che succede. Abbiamo i ragazzi di Sex School project che lavorano su questo. Vex Ashley, produttrice di Four Chambers, che è stata censurata, ha avuto problemi, così come tanti altri che portano la loro esperienza. Questo per me è al momento il progetto più importante che ho, anche se non mi coinvolge direttamente come film maker ma come direttore artistico. Ripeto, secondo me questa è una community, che cresce e che si muove attraverso la produzione cinematografica più stretta ma anche attraverso la performance art, l’attivismo, tante cose che stiamo cercando di mettere insieme in questo festival che accadrà a Londra il 17, 18, 19 maggio. Finito questo, ci sarà il film. Il mio calendario adesso è pubblico, non posso sgarrare.

Grazie.

*Nel 2014 il British Board of Film Censors (BBFC) ha richiesto che alla pornografia online on-demand si applicassero le stesse linee guida valide per il porno registrato e venduto su supporti fisici, impedendo alle produzioni pornografiche britanniche di rappresentare una serie di contenuti dichiarati ‘non accettabili’. La lista comprende atti sessuali come:
spanking (lo sculacciare), caning (punizione inflitta con un bastone), aggressive whipping (flagellazione violenta), penetrazione per mezzo di ogni oggetto “associato alla violenza”, abuso fisico o verbale (indipendentemente dal consenso), urolagnia (in italiano urofilia, la pratica di urinare nella bocca o sul corpo di un partner), gioco di ruolo di non adulti, costrizione fisica, umiliazione, eiaculazione femminile, strangolamento, facesitting (pratica in cui un partner si siede sul visto dell’altro provocando il contatto con i genitali) e fisting (penetrazione vaginale o anale di tutta la mano), dove le ultime tre pratiche sono considerate in grado di mettere in pericolo la vita stessa della persona che le subisce.
Il ban ha fatto discutere per la censura posta apparentemente in misura maggiore sul piacere femminile visto che per alcune pratiche convenzionalmente femminili che sono state bannate, non sono stati bannati i corrispettivi maschili, massicciamente presenti nel porno mainstream. Non c’è infatti nessuna traccia di ban sull’eiaculazione maschile, sulla forced fellatio o irrumatio (fellatio violenta), o su altre pratiche potenzialmente pericolose messe in atto da performer uomini su performer donne (come doppia penetrazione anale).

Questo è quello che succedeva prima del coming out ogniqualvolta incontrassimo e/o intervistassimo qualcuno: si scattava una foto senza faccia - pubblica - e una foto con la faccia - privata, per ricordo. Sono troppo sentimentale per eliminarne una delle due, quindi le lascio qua entrambe.
Una veloce riflessione: prima dell'intervista io e Lidia non ci eravamo mai neanche viste in faccia. Il nostro trascorso consta di una manciata di messaggi e una chiamata di Whatsapp. La nudità - come stato naturale dell'essere umano - è anche questo: una scorciatoia per stabilire connessioni umane significative e sincere.

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