È di questi giorni la notizia che in Piemonte partirà un progetto pilota che vuole rieducare i ragazzi ad amare e instaurare relazioni sane.
Tra novembre e marzo, duemila ragazzi delle quarte e quinte superiori delle scuole piemontesi verranno eruditi sui fondamenti dell’amore analogico, quello vero, con due ore (alla settimana? Non è chiaro) di educazione sentimentale.
Lezioni d’amore è il nome del progetto che avrebbe come finalità quella di “contrastare aggressività, bullismo e violenza, sia nei rapporti di coppia sia tra amici” attraverso un’operazione di “rialfabetizzazione amorosa”.
Lo slancio romantico d’altri tempi e le grandi ambizioni sembrano lodevoli, e i presupposti sono comprensibili: l’amore ai tempi di Facebook ha perso ogni sfumatura di umanità, le relazioni coltivate sulla tastiera si sono impoverite di valori e principi, risultando superficiali surrogati di un rapporto fatto di voci, gesti e sentimento.
Se l’utilizzo di massa del digital, dell’internet e dei social network, da una parte, ha avvicinato le persone costruendo ponti virtuali che hanno ricongiunto vecchie fiamme, amici d’infanzia, compagni di avventure passate e “quelli che”, dall’altra ha messo uno schermo tra le parole t’amo dove prima c’era un apostrofo rosa.
Il recupero di relazioni che siano più vere, profonde e coltivate è probabilmente una necessità di questi tempi moderni digitali. Tuttavia, scorrendo la notizia pubblicata su LaRepubblica.it, ho letto alcune frasi che mi hanno fatto prudere le mani e altre che proprio mi hanno fatta saltare sulla sedia.
Nulla a che vedere con l’educazione sessuale
Intanto l’articolo ci tiene a evidenziare che il progetto non ha “nulla a che vedere con l’educazione sessuale”, “nulla a che vedere col sesso”.
Una precisazione che sembra voler non solo separare amore e sesso come forme di interazione diverse e indipendenti, ma anche contrapporre l’amore, un sentimento puro, pulito che vola alto, al sesso, in tutto il suo essere.. peccaminoso? sporco? gretto? Il sesso (la sessualità) come qualcosa di cui non parlare.
È una frase che ricalca quella rappresentazione peggiorativa del sesso che da anni viene propinata nei contesti educativi. Il sesso come qualcosa da cui proteggersi e preservarsi.
Non ricordo una lezione di educazione sessuale dove non si sia parlato del sesso in termini di rischi e pericoli (gravidanze indesiderate, malattie sessualmente trasmissibili). Non ricordo un incontro con psicologi e sessuologi nell’auditorium delle scuole superiori dove si sia parlato di piacere.
Non credo neanche che sia possibile parlare di episodi di violenza (sulle donne) e bullismo senza parlare di sessualità, quando è proprio con questa sfera che hanno a che fare gli stereotipi e gli stigma che sfociano in atteggiamenti di violenza e intolleranza. Parlare di sessualità significa parlare di genere, di orientamento, di identità sessuale. Non capisco come sia possibile avviare un’impresa di “rialfabetizzazione amorosa” escludendo tutto questo.
I ragazzi ormai sono quasi più esperti di noi sulla meccanica del sesso
Ma andiamo avanti. Un secondo articolo, pubblicato su L’Espresso.it, chiarisce la presa di distanza dall’educazione sessuale e dal sesso citando una frase del professor Paolo Ercolani, docente di filosofia dell’educazione all’Università di Urbino e curatore delle “Lezioni d’amore”.
«L’educazione sessuale è ormai anacronistica, nonostante si discuta da quarant’anni sul suo inserimento nell’offerta formativa: i ragazzi ormai sono quasi più esperti di noi sulla meccanica del sesso»
Ecco, se c’è una cosa che mi fa saltare i nervi è sentire qualcuno dire che tanto loro “ormai ne sanno più di noi”.
Di solito il riferimento è al fatto che l’utilizzo di dispositivi collegati alla rete da parte di utenti di ogni età abbia favorito l’accessibilità alla pornografia esponendo chiunque (bambini, ragazzi, adulti) al rischio di imbattersi in contenuti visivi espliciti con un click.
Criminalizzare il porno come mezzo attraverso cui i ragazzi, e spesso anche i bambini, vengono a conoscenza del sesso e imparano a farlo, è diventato un trend ricorrente.
Ma il porno non ha nessuna velleità di diffondere informazioni e istruire. Il porno è intrattenimento, non educazione.
Quello a cui i ragazzi hanno accessibilità è un flusso di contenuti, non di informazioni, sul sesso.
Contenuti che probabilmente non hanno idea di come gestire se vi ci inciampano ancora prima di avere sentito parlare di sessualità.
Affermare che “ne sanno più di noi” equivale a lavarsi le mani da ogni responsabilità di educazione, sessuale e sentimentale. Significa privare bambini e bambine, ragazze e ragazzi, di informazioni necessarie a compiere delle scelte consapevoli e utili a sviluppare una relazione sana con il proprio corpo e con gli altri. Significa lasciarli con le uniche opzioni di esplorare la sessualità per tentativi ed errori o di subirla per compiacere il desiderio di qualcun altro, emulando stereotipi spesso sessisti presi in prestito dalla pornografia.
In questo modo continuiamo a crescere futuri uomini e future donne inconsapevoli e insoddisfatti che mentre si sfondano di porno non hanno idea di cosa sia il consenso e di cosa sia il piacere.
E se la “meccanica del sesso” che conoscono si riferisce a infilare un pene dentro una vagina, allora i ragazzi (e non solo loro) non hanno proprio idea di cosa sia il sesso.
Proprio perché i riferimenti al sesso sono tanti, accessibili e viziati da stereotipi, oggi più che mai c’è bisogno che ognuno di noi si impegni per diffondere una cultura positiva della sessualità attraverso un’educazione completa che non lasci nulla al caso: un’educazione sessuale, sentimentale, affettiva.
[Leggi anche Un po’ di educazione sessuale, per piacere]
E ce n’è bisogno da subito, non dalla quarta superiore, perché si finisce presto a maneggiare dispositivi connessi a internet e ci si accorge presto di avere un corpo che reagisce agli stimoli.
I ragazzi non sanno più corteggiare e le ragazze non riescono a dare segnali chiari.
C’è un’altra frase nell’articolo che risuona nella mia testa come un campanello d’allarme, che motiva la necessità della “rialfabetizzazione amorosa” con il fatto che “i ragazzi non sanno più corteggiare e le ragazze non riescono a dare segnali chiari”.
Una manciata di parole che marcia spietatamente su decenni di lotte per la parità e l’uguaglianza di genere e per il riconoscimento dei diritti LGBT+ e che trasuda sessismo a ogni battuta.
Prima di tutto si dà per scontato che di amore ce ne sia uno, quello eterosessuale, e di generi due, uomo e donna. Escludere alcuni orientamenti sessuali e generi significa negare l’esistenza stessa di chi in quell’approccio eterosessuale alla sessualità e all’amore non si riconosce e quindi precludere ogni qualsivoglia possibilità di realizzazione e autodeterminazione umana. Significa tracciare una linea tra un amore normale, socialmente accettato e rispettato, e tutto il resto, implicitamente archiviato come diverso, anomalo o addirittura deviante.
Significa ignorare l’esistenza di lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, asessuali, e negare il loro diritto all’amore, alimentando la paura e il rifiuto per tutto quello che si allontana dalla norma (eterosessuale) autorizzandone la discriminazione.
Mi chiedo come un corso possa affermare di contrastare il bullismo quando sta creando terreno fertile per omofobia, bifobia, transfobia.
Quella frase, detta e riportata con tanta leggerezza, è figlia di una cultura fondamentalmente maschilista ed eterosessista che ripropone dei ruoli di genere stereotipati che riconoscono all’uomo un ruolo attivo, di macho predatore, e alla donna quello passivo di preda o, peggio, di vittima. [Ne avevo parlato anche nell’ultimo articolo]
Sembra una rappresentazione troppo banale per un corso che si propone di rialfabetizzare i ragazzi in materia di cuore e troppo pericolosa per un’educazione che si propone di contrastare la violenza.
Mi sembra che qui si sta parlando di relazioni umane come Piero Angela parlava del corteggiamento e dell’accoppiamento tra specie animali. Forse qualche sfumatura ce la siamo persa.
Se oggi ci troviamo di fronte a un numero preoccupante di casi di violenza e bullismo non è perché i ragazzi hanno smesso di regalare fiori e le ragazze se la tirano.
La risposta contemporanea all’amore digitale e ai rapporti virtuali gestiti dalla tastiera non può essere la reiterazione di ruoli chiusi e stereotipati in cui non tutti si riconoscono.
Per contrastare la superficialità di un rapporto gestito dalla tastiera forse sarebbe più utile educare i ragazzi a non fermarsi di fronte a uno stereotipo di genere e a entrare in contatto con la persona prima che con l’uomo o la donna.
Spero di sbagliarmi, ma temo che quel “le ragazze non riescono a dare segnali chiari” in questo contesto venga usato come scusa (e non prevenzione) ai casi di violenza da parte di uomini. E qui mi fermo.
Temo anche che questi corsi siano un rattoppo educativo comodo per un paese (finto) moralista come l’Italia in cui è più facile far passare una proposta che parli di amore piuttosto di una che parli di sesso. Il rischio di disseminare il malcontento e scatenare orde di genitori scandalizzati che inveiscano contro le scuole italiane è dietro l’angolo.
Ben vengano i corsi che ci ricordano che tra pollici su di Facebook, cuori di Instagram e messaggi d’amore in click forse ci siamo persi dei pezzi, dei valori e un po’ di quella capacità di interagire squisitamente umana. Ma è doveroso che questi corsi parlino al cuore di tutti, etero e non, e che non tralascino aspetti naturali e fondamentali come la sessualità che fanno parte della vita di ognuno e che possono fare la differenza tra una relazione sana e soddisfacente e una repressa dalla quale poi scaturiscano idee di corsi di rieducazione malfatti.
Ai posteri l’arduo compito di darmi torto.