Lisa Dalla Via è una tostissima performer di burlesque che ha compattato i suoi studi di psicologia, le scorribande in radio, la formazione teatrale, le irruzioni in tv e nell’editoria digitale e l’innata creatività in un’unica valigia (come solo una donna sa fare) e ne ha tirato fuori Le Fanfarlo. Si tratta di un progetto al femminile che dà voce ai corpi e ai volti delle donne che salgono sul palco in qualitá di performer di burlesque e ne scendono per affrontare, consapevoli e caparbie, in tutta la loro sfrontata sensualità, un mondo ancora (per poco?) dominato da uomini.
Le Fanfarlo è una scuola di burlesque, un blog e un gruppo straordinariamente variegato di donne di tutte le forme, età, personalità che hanno un cervello e un reggicalze e non hanno paura di usarli. Entrambi.
Vestite di sorrisi conturbanti e tortuosi boa di piume, vivono il burlesque come strumento di empowerment femminile e calcano il palcoscenico per ricordare che una donna non deve decidere se essere bella e seducente o intelligente e interessante, ma può essere tutte queste cose insieme e calpestare il mondo a testa alta, in tacchi a spillo o sneakers a seconda di come le gira.
Ho incontrato Lisa a casa sua – un tripudio di piume, scarpe, fotografie e pezzi di arredamento vintage fatti rivivere da olio di gomito e creatività – dove mi ha raccontato tutto di questo progetto e di come il burlesque possa diventare un percorso di crescita personale creativo, divertente e a volte anche terapeutico.
Questa è l’intervista completa.
Chi sei?
Sono Lisa Dalla Via, sono insegnante e performer di burlesque e, non lo so, sono un sacco di cose strane. Quando mi chiedono che lavoro faccio generalmente dico che guido macchine e mi spoglio, più che altro per vedere la reazione della gente, perché lavoro anche con un magazine di auto e mi piace andare in pista. Sono quella che si dice una creativa, quindi invento cose, sia con le coreografie che con le parole. E vivo una vita incasinata.
[vc_row][vc_column][vc_separator color=”black”][vc_custom_heading text=”Faceva parte di un mio percorso personale, quello di guadagnare confidenza con la mia fisicità, il mio corpo, il mio erotismo.” font_container=”tag:h2|text_align:center” google_fonts=”font_family:Playfair%20Display%3Aregular%2Citalic%2C700%2C700italic%2C900%2C900italic|font_style:900%20bold%20regular%3A900%3Anormal”][vc_separator color=”black”][/vc_column][/vc_row]
Come ti sei avvicinata al burlesque?
Come formazione vengo dal teatro, poi ho sempre avuto un debole per i vestiti della nonna e la lingerie vintage. Ai tempi avevo un fidanzato che non mi considerava nei momenti di esibizionismo a base di reggicalze e cose simili, mentre quest’arte mi ha permesso di divertirmi col mio corpo.
Diciamo che non sono nata confidente con il mio corpo, ero la bambina secchiona con gli occhiali. La mia maestra diceva che usavo il corpo per portare in giro la testa.
Quindi il burlesque è stato parte di un mio percorso personale, quello di guadagnare confidenza con la mia fisicità, il mio corpo, il mio erotismo. Ha conciliato la mia passione per il teatro con un sano esibizionismo e alla fine è diventato anche terapeutico.
Quanto di te o della tua vita metti nel tuo burlesque?
Io sfrutto il burlesque per varie cose, a volte anche per beceri motivi personali. Come dico, il valore apotropaico del burlesque. Ho un act in cui sono una sposina abbandonata sull’altare che diventa una specie di dea vendicatrice tirando una frusta fuori dal mazzo di fiori e riprendendosi la vita in mano. Quello è un act che è nato dopo una storia finita in cui si parlava di matrimonio. Poi ci metto anche delle mie idee, per esempio nelle mie principesse Disney, quelle dei primi film, che sono principesse più toste e anche più carnali. Ho sempre avuto in odio quest’idea della donna in attesa di un uomo che non solo arrivi a salvarla ma dia significato alla sua esistenza. Cenerentola che fa? Le pulizie. La bella addormentata che fa? Dorme. La mia generazione è cresciuta con queste favole che hanno contribuito a creare un immaginario, un’idea di come dovesse essere la nostra vita terrificante di donna. Io dò nuovo vigore a queste favole.
[vc_row][vc_column][vc_separator color=”black”][vc_custom_heading text=”È un’arte estremamente al femminile, è un’arte di donne che si riprendono il proprio corpo portandolo sulla scena.” font_container=”tag:h2|text_align:center” google_fonts=”font_family:Playfair%20Display%3Aregular%2Citalic%2C700%2C700italic%2C900%2C900italic|font_style:900%20bold%20regular%3A900%3Anormal”][vc_separator color=”black”][/vc_column][/vc_row]
C’è ancora bisogno di spiegare che il burlesque è diverso dallo spogliarello?
Siiii! All’inizio praticamente nessuno sapeva cosa fosse il burlesque. Poi ha avuto un momento di popolarità in cui c’è stata una degenerazione, chiunque faceva burlesque, infilandosi un reggicalze a caso, finendo per abbrutire il burlesque. A volte c’è bisogno di spiegarlo ma credo si cominci a capire che questa è un’arte estremamente al femminile, un’arte di donne che si riprendono il proprio corpo portandolo sulla scena. Siccome i corpi del burlesque sono corpi estremamente variegati, credo che questa sia una cosa estremamente femminista, anche le veterofemministe probabilmente mi odiano e mi vedono come fumo negli occhi. Il loro è un femminismo punitivo, io sono per la gioia, tifo gioia.
Sono con te.
[vc_row][vc_column][vc_separator color=”black”][vc_custom_heading text=”Il corpo che porto sul palco oggi è un corpo che è cambiato ma è un corpo che amo, perché è quello che mi dà gioia.” font_container=”tag:h2|text_align:center” google_fonts=”font_family:Playfair%20Display%3Aregular%2Citalic%2C700%2C700italic%2C900%2C900italic|font_style:900%20bold%20regular%3A900%3Anormal”][vc_separator color=”black”][/vc_column][/vc_row]
Com’è cambiato il rapporto con il tuo corpo e con te stessa da quando hai iniziato a fare il burlesque?
Il rapporto col mio corpo è cominciato a cambiare facendo teatro. Perché io ero veramente la bambina timida, secchiona, con la testa nei libri, l’enfant prodige.
Anche la figlia modello?
No, figlia modello non lo sono mai stata, sono sempre stata bastian contrario, come diceva la mia maestra, terrificante. Avevo un pessimo rapporto con il mio corpo, non esisteva, mi vergognavo, avevo gli occhiali, non mi piacevo. Mi ricordo di una gita scolastica, di quando eravamo sul pullman e a un certo punto il ragazzino che mi piaceva è venuto a sedersi vicino a me e io ero tutta un “oh-mio-dio”; si è avvicinato e mi ha chiesto di mettere una buona parola per la mia amica. Io ero proprio trasparente. Prima di tutto è arrivato il teatro a farmi mettere in gioco, facendomi anche piangere perché è stato molto duro, poi è arrivato il burlesque, che è stata la rivelazione assoluta, e da lì sono diventata estremamente confidente. Il mio è un corpo che è invecchiato negli anni, perché ho cominciato nel 2006, quindi il corpo che porto sul palco oggi è un corpo che è cambiato ma è un corpo che amo, perché è quello che mi dà gioia.
Come viene utilizzato il burlesque nella quotidianità da una donna che fa quest’arte?
Ti parlo per quella che è la mia esperienza, che è un’esperienza decennale alla fine, il che mi fa sentire un po’ vecchia! Negli anni ho raccolto le confidenze di tantissime donne che non riguardano solamente il burlesque e le piume di struzzo, ma anche l’erotismo e la sessualità, e sono venuti fuori tanti problemi. Il fatto di non avere un buon rapporto con il proprio corpo, perché non è un corpo da copertina, influenza tantissimo la sessualità. Ho visto che le donne, avendo più confidenza con loro stesse, avendo più orgoglio del proprio corpo, migliorano anche la propria vita relazionale, non solo sessuale. Tanti anni fa c’era questa ragazza, una bella ragazza carnosa, che si copriva sotto strati di cose e che facendo burlesque ha cominciato a cambiare, ma non è dimagrita, ha cominciato a vestirsi meglio, a scoprirsi, a girare a testa alta. Quindi sì, il burlesque cambia, non so se tutto il burlesque, forse dipende anche dal mio approccio e dal mio modo di insegnarlo, e ha anche un valore terapeutico. Ma attraverso il gioco, è quasi casuale, non ce ne accorgiamo.
Trovo bello che il burlesque non richieda di modificare, trasformare il corpo per salire sul palco, ma piuttosto lo valorizzi.
Assolutamente, è un pacificarsi col proprio corpo. Io ho incontro tantissime ragazze, ognuno ha il suo problema. Se guardi Le Fanfarlo vedi che siamo tutte diversissime, e quando qualcuna ha una fissa, ad esempio per la cellulite, le dico sempre che se ti vedono la cellulite vuol dire che non stai facendo bene il tuo lavoro. Quando ti senti a posto con te stessa e esci di casa, il mondo ti sorride, il giornalaio ti sorride, le persone si relazionano a te in un certo modo, la gente si gira a guardarti perché ti senti bella. Quando ti senti uno schifo il mondo ti risponde di conseguenza. Quindi prima si parte da un lavoro su sé stessi e agli altri arriva questo lavoro, indipendentemente dalla taglia di seno che si ha.
Probabilmente ognuno ci arriva in un momento diverso.
I processi sono diversi per ogni donna. Ho visto donne avere un percorso di consapevolezza immediato, alcune graduale. A volte succede questa cosa incredibile che arriva una ragazza a lezione e vedi che è improvvisamente sexy. Non hai idea di quante ragazze meravigliose non abbiano un buon rapporto con sé stesse. Il problema più grande delle donne sono loro stesse: si guardano e si censurano per prime. Le dico sempre di mollare il Super Io a casa. Chiamatelo come volete, il Super Io, i genitori, il rompipalle, ma smettete di guardarvi dall’esterno e divertitevi. Non è facile addomesticare il Super Io!
Quanto lavoro fisico e quanto lavoro psicologico c’è nel tuo burlesque?
Tanto lavoro psicologico, però attraverso il lavoro fisico, non è che arrivo e dico “ok, facciamo la seduta”. Attraverso il gioco, gli esercizi di improvvisazione che ho mutuato dal teatro, che tirano fuori delle cose che non ti aspetteresti. Ad esempio faccio fare un esercizio divertente, per cui mi odiano anche… Per tante cose mi odiano le mie allieve, poi però mi ringraziano! Ho un cesto con oggetti strani che possono essere evocativi, ne prendo uno, magari un topo di peluche o una fiaschetta per l’alcol, glielo dò e loro ci devono costruire un act. Dallo stesso oggetto, a seconda della persona, vengono fuori cose completamente diverse. Alcune volte glielo faccio preparare a casa, altre volte dò un canovaccio e loro devono andare in scena e improvvisare, magari interagendo tra loro. E così si lavora su entrambi gli aspetti contemporaneamente, fisico e psicologico.
Loro non si aspettano di fare un lavoro così profondo, a volte non se ne rendono nemmeno conto, si aspettano solo piume di struzzo e boa.
[vc_row][vc_column][vc_separator color=”black”][vc_custom_heading text=”Piaci nel momento in cui ti piaci, nel momento in cui sai cosa stai facendo, sei sicura, vai verso il pubblico sfidandolo e contenta di quello che sei.” font_container=”tag:h2|text_align:center” google_fonts=”font_family:Playfair%20Display%3Aregular%2Citalic%2C700%2C700italic%2C900%2C900italic|font_style:900%20bold%20regular%3A900%3Anormal”][vc_separator color=”black”][/vc_column][/vc_row]
Quanto è importante piacere al pubblico e quanto a sé stesse?
Se non piaci a te stessa non puoi piacere al pubblico perché il pubblico se ne accorge. Conosco performer professioniste che sono bravissime, fanno dei movimenti perfetti in scena ma non arrivano perché non ci credono. Il burlesque non è una disciplina come la danza classica, ci sono veramente quattro cose da imparare dal punto di vista tecnico. Ma se le esegui solo tecnicamente e non ci credi, non arrivi al pubblico. Piaci nel momento in cui ti piaci, nel momento in cui sai cosa stai facendo, sei sicura, vai verso il pubblico sfidandolo e contenta di quello che sei.
[vc_row][vc_column][vc_separator color=”black”][vc_custom_heading text=”Il burlesque è l’arte di rimpolpare l’autostima.” font_container=”tag:h2|text_align:center” google_fonts=”font_family:Playfair%20Display%3Aregular%2Citalic%2C700%2C700italic%2C900%2C900italic|font_style:900%20bold%20regular%3A900%3Anormal”][vc_separator color=”black”][/vc_column][/vc_row]
Che posto hanno la seduzione, il piacere, l’erotismo, la sessualità dentro il burlesque?
Sono fondamentali e sono tutte cose collegate. Alcune ragazze mi hanno confessato di non fare sesso con la luce per vergogna del proprio corpo. Per una ragazza del genere fare burlesque è traumatico ma funziona. La seduzione non esiste se alla base non c’è un’autostima solida, infatti quando ripetono che “il burlesque è l’arte della seduzione” io rispondo che “il burlesque è l’arte di rimpolpare l’autostima”. Perché altrimenti scimmiotti la seduzione, non sei seducente.
La seduzione si impara o fa parte di ogni donna e bisogna solo imparare a tirarla fuori?
Credo che ognuna abbia il proprio modo di essere seducente. Chi attraverso la risata, chi con una sensualità più classica. Io insegno delle cose pratiche, come levarsi una calza o tirare il piede sulla sedia, poi però tendo a esortare le ragazze a trovare il proprio modo. Voglio che ogni donna trovi il proprio linguaggio, non voglio che arrivino a scimmiottare l’insegnante. Io ho il mio modo che rispecchia il mio background, la mia personalità. Da me impari la gestualità, un certo modo di stare sul palco, poi devi tirare fuori il tuo.
Che bello è vederle crescere?
Mamma mia, sì, adoro, adoro. È bellissimo soprattutto quando succedono questi momenti degli switch, e vedi che cambiano da un momento all’altro.
E loro se ne rendono conto o sei tu che lo vedi prima?
A volte sono io che lo vedo prima, mentre le guardo fare gli esercizi. C’è una de Le Fanfarlo che è una ragazza di una bellezza incredibile, una attentissima ai tempi, che studia tutto; l’ho vista andare sul palco, fare gli esercizi perfettamente, ma si vedeva che era terrorizzata. L’ultima volta che è andata in scena penso abbia fatto il suo peggior act per i tempi e gli accenti ma il migliore in assoluto per il messaggio, per com’è arrivata al pubblico, perché si è divertita, era consapevole.
Come si riflette il burlesque sulla vita sessuale con un partner?
Io vengo da una famiglia molto cattolica, la mia educazione sessuale è stata piuttosto scarsa, la parola sesso era bandita da casa. Quindi ho fatto un lavoro bello tosto su me stessa e ho aiutato altre a fare lo stesso lavoro. Ci sono stati anche mariti che mi hanno ringraziata per il lavoro fatto. Altri gelosi, ovviamente.
La donna, soprattutto in Italia, viene spesso stereotipata e stigmatizzata in base alla condotta sessuale, trovandosi intrappolata in una doppia dicotomia: o sei bella o sei intelligente; o sei santa o sei puttana. Come contribuisce il burlesque a fornire un’alternativa a questi stereotipi poveri e superficiali?
È un lavoro difficile perché le resistenze esistono anche da parte delle donne. Attraverso il burlesque stiamo provando a raccontare una realtà più sfaccettata. Io lotto da tutta la vita contro questa dicotomia. Per quale motivo devo scegliere? Ritengo di essere una persona piuttosto intelligente e questo non toglie che io possa anche essere una bella donna, una donna che si bea della propria capacità seduttiva. La resistenza è soprattutto culturale, viviamo in un paese profondamente cattolico. Da piccola mi è stato raccontato da mia madre che io sarei dovuta arrivare vergine al matrimonio e mio fratello no. Magari la mia è una famiglia particolare, molto tradizionalista, però c’è un modo diverso di valutare donne e uomini. Ho molta fiducia nelle nuove generazioni, in parte delle nuove generazioni. Credo che sia un lavoro culturale difficile ma che il burlesque possa contribuire. Io posso essere tutto, qualsiasi cosa, posso essere santa e puttana a seconda di come mi gira. Io ho avuto storie lunghissime ma ho avuto anche un periodo in cui mi sono divertita parecchio. E va bene così. Perché devo essere valutata diversamente in quanto donna? Credo che il progetto Le Fanfarlo abbia la sua forza nel fatto che siamo tante donne diverse di tante età diverse, ed è un bel messaggio da lanciare alle altre donne. Certo non ho la pretesa di cambiare il mondo uno-due, ma credo nel gutta cavat lapidem. Una volta credevo nelle rivoluzioni di massa, adesso credo che questo progetto sia rivoluzionario, che possa cambiare le cose attraverso il piccolo, il racconto delle singole persone. Credo nel cambiamento del singolo. E non è facile, anche all’interno di un gruppo relativamente ristretto di donne. Noi siamo 15 per ora, anche se la famiglia si sta allargando, siamo persone molto diverse e ci sono state delle resistenze, ma il fatto stesso di confrontarsi con una persona diversa aiuta a capire che la diversità è anche un valore e che si può imparare da persone da cui non avresti mai pensato di poter imparare.
Dopo uno spettacolo di burlesue cosa si porta a casa la performer e cosa il pubblico?
Io ti parlo dei nostri spettacoli, de Le Fanfarlo. La performer si porta dentro anche l’orgoglio di avercela fatta. Io sono una donna di spettacolo, sono sul palcoscenico da quando avevo 17 anni, è casa mia, per me è relativamente facile. Le altre donne si rendono conto di aver fatto una cosa che non avrebbero mai pensato di poter fare, si sentono più forti, più sicure e tutti questi messaggi arrivano dall’altra parte. Siamo seguite da molte donne che si identificano in questo gruppo estremamente sfaccettato e il riscontro è meraviglioso perché trasmettiamo la gioia di stare sul palco a prescindere dalla nostra forma, dalla nostra età. Credo che si crei una sinergia fra pubblico e performer, non sempre, ma quando questa magia si crea è bellissimo.
Negli spettacoli de Le Fanfarlo il pubblico arriva già preparato perché sa che sono delle pazze che, come diciamo noi, utilizzano il burlesque come strumento di empowerment femminile.
Parlando di analogie con la tematica che tratto io, la sessualità, immagino che un modo per mettersi in gioco attraverso il burlesque sia quello di usare l’ironia e l’autoironia, che sono cose che funzionano anche nella sfera sessuale.
Io nel sesso rido tantissimo, perché è un gioco. Poi ci sono diversi modi di fare sesso, e per me dipende da come mi gira quel giorno. Di nuovo, per essere autoironico devi acquisire sicurezza perché altrimenti non riesci a ridere di te stesso. Nel momento in cui riesci ad essere autoironico sei più centrato e anche il tuo modo di vivere il sesso è più libero. Quindi sì, credo che il burlesque rifletta tantissimo sulla sfera sessuale, poi ci sono gli aspetti più estetici, il fatto di imparare a levarti la calza e quindi nella dimensione della seduzione ci sta anche giocare con uno strip, può essere divertente, però prima devi essere solida come persona.
Cosa si insegna in una lezione?
Le prime lezioni le faccio divertire, le faccio giocare anche a uno-due-tre-stella, perché devono rilassarsi. Poi le faccio lavorare molto sulla teatralità del burlesque, sull’interpretazione, sull’improvvisazione e su cose mutuate dalla danza. Adesso siamo in zona saggi, quindi le sto massacrando per fare le coreografie. Sono una brutta persona, ho anche i frustini a lezione, perché queste qua fanno un casino, quindi ogni tanto parte lo sculaccione, se no non le tieni buone!
E invece a livello tecnico?
Quella è paradossalmente la cosa più semplice. Insegno a riempire gli spazi, a essere grandi, dico sempre alle ragazze che hanno tutte la sindrome della metropolitana, quella delle braccia vicino al corpo per dare meno fastidio possibile, invece io insegno l’esuberanza, a invadere lo spazio. Poi le insegno a guardare le persone negli occhi, se no le perdi.
Sono stata parte della giuria di un paio di concorsi e ho visto delle performer con i tempi giusti e i costumi giusti, ma si vedeva che lo facevano solo per loro stesse, non avevano interesse verso il pubblico, non dialogavano. Dimensione solipsistica proprio. Non funzioni. Lo spettacolo di burlesque non può essere un monologo, devi capire che pubblico hai, devi sentirlo. Se invece hai un brutto pubblico: arriva alla fine e porta a casa.
Per quali motivi le donne decidono di fare il burlesque?
Per i motivi più disparati che dipendono da questioni caratteriali, di età, di storie personali. C’è la ragazza giovane che è timida e ha bisogno di trovare sicurezza in sé stessa. Chi sa di non essere autoironica, di non riuscire a giocare. C’è la donna in carriera che si rende conto di aver sacrificato certe sfumature del suo essere donna per dimostrare di essere al pari degli uomini. Questo è un dramma nei nostri tempi, dobbiamo farci il culo dieci volte più degli uomini perché se tu sei bella e intelligente sei praticamente fottuta, nessuno comprende che puoi essere entrambe le cose e che non devi nascondere la tua femminilità, la tua capacità seduttiva per essere intelligente. Poi c’è la madre di famiglia che ha cambiato troppi pannolini e ha bisogno di giocare con un reggicalze invece che con un biberon. C’è la ragazza che ha una fisicità diversa e vuole pacificarsi con il suo corpo. La prima lezione chiedo sempre alle ragazze perché fanno burlesque.
Sono sempre oneste?
Vabbè tanto se non sono oneste le sgamo!
Poi è anche una questione di sensibilità personale. Alcune le devi accompagnare per manina, in maniera dolce, alcune le devi prendere ridendo, altre le devi prendere a calci nel culo perché hanno bisogno di una dimensione più strong per ripigliarsi. Penso che sia una missione, a volte.
Il burlesque è forse l’unica dimensione della seduzione in cui le donne non sono rivali ma diventano complici. Come fa da collante tra le donne?
Questo è anche uno dei punti del nostro decalogo. Spesso l’invidia nasce da un’insicurezza, dal sentirsi inferiori, quindi lavorando sull’autopercezione, sulla sicurezza, a prescindere dalle diversità fisiche, si riesce a entrare in contatto con le altre senza guardare quella che ha il culo più bello del tuo, per intenderci. Per esempio c’è una ragazza che ha un culo che, porca miseria, è insopportabile, fenomenale. Invece di far scattare l’invidia noi ci facciamo le foto col suo culo, le diamo le pacche. Perché che te ne frega a te, hai il culo più grosso di lei ma sei a posto con te stessa, piaci, sei centrata. Per superare quest’invidia, per essere veramente complici, bisogna centrarsi prima di tutto.
Che ruolo hanno mariti, compagni, fidanzati?
Sono in prima fila? A casa ad aspettare con il frustino? Non quello per fare i giochini, dico…
Quello per fare i giochini è una cosa buona! Ce ne sono di disparati.
Il marito di una Fanfarlo le fa i copri capezzoli e i costumi di scena, è bravissimo, fantastico, MacGyver, fa qualsiasi cosa. Loro sono una coppia incredibile, hanno una complicità infinita. Altri hanno avuto un impatto più difficile per il senso del possesso, il ‘ti devo vedere solo io’. Alcuni hanno mostrato ancora più resistenza, lì si tratta di trovare un equilibrio nella coppia fra quello che voglio fare io e quello che vuoi fare tu. Altri riescono a venire a patti con la gelosia perché vedono che le proprie compagne sono felici. Altri le incitano. Uno è stato messo in punizione perché all’inizio era super contento, poi gli è scattata la gelosia e la sua fidanzata, che è bella tosta, gli ha detto “ah sì? Finché non fai il bravo tu durante i miei spettacoli stai a casa”. “Se vuoi venire sei il benvenuto, però devi star lì felice”.
È anche una questione di sicurezza da parte dei compagni. Poi c’è chi si gasa e dice “caspita, tutti la desiderano ma me la scopo io”. Io ho avuto un fidanzato che ai tempi ha detto no alle foto sexy, no ai film se ci sono scene di sesso, no al burlesque. Io gli ho detto ciao, non solo per una questione che tu mi impedisci di fare il mio lavoro, ma perché pur sapendo come sono fatta non hai capito niente di me e pretendi di cambiarmi. A volte abbiamo delle resistenze culturali di cui non siamo nemmeno consapevoli.
Episodi strani durante gli spettacoli?
C’è lo spettacolo di Biancaneve dove io mangio la mela e cado in terra svenuta: le volte che hanno dovuto levare la gente dal palco che voleva venirmi a dare il bacio per svegliarmi! Una volta mi hanno rubato un reggiseno customizzato con tutte le rose, non si sa cosa ne abbiano fatto. Un’altra volta ho trovato uno che beveva champagne dalla mia scarpa. Varie ed eventuali.
A cosa applaude il pubblico? Alla nudità? Alla performance?
Dipende dagli spettacoli. In quelli comici ride, applaude quando si tolgono il reggiseno. Noi cerchiamo di educare il pubblico. Il pubblico del burlesque deve interagire, urlare, incitare la performer, perché più il pubblico applaude, urla e strepita, più la burlesque performer performa e quindi si spoglia. Io il pubblico silenzioso non lo voglio, magari sto ferma con la calza e finché non sento urlare non la sfilo.
Tutte possono fare burlesque?
Si, io avuto allieve dai 17 ai 75 anni, di ogni forma e colore. Tutte possono, assolutamente sì.
Per chiudere, parliamo del progetto Le Fanfarlo. Il burlesque è una forma di espressione che passa dal corpo e si porta dentro anche la personalità di ogni performer. Le Fanfarlo va oltre questo, dando voce a un volto e a un corpo.
Si, il progetto ha tanto studio dietro, è stato un parto. Oltre agli show che proponiamo, diversi in base alla performer, abbiamo anche un blog nel quale ogni donna racconta la propria storia di emancipazione, non solo sul palco. Si va dalla ragazza che racconta come ha dovuto spiegare ai genitori che fa burlesque alla madre di famiglia che ha dovuto spiegarlo ai figli, a chi racconta il proprio punto di vista sul mondo. Da poco è uscito l’articolo di una che fa la sommelier e si è dovuta scontrare con un mondo predominato da uomini. Noi siamo donne parlanti e questo non esclude che abbiamo un corpo. È da tanto che ho questo progetto in testa perché mi sono sempre occupata di tematiche femminili, le ho sempre avute a cuore nella mia vita di giovane rivoluzionaria, e strada facendo ho pensato che questo tipo di messaggio potesse avere più forza se non fosse stato il messaggio di una donna unica, solitaria, con una voce sola. Noi siamo tante donne con tante voci diverse e credo che questo dia molto più valore a quello che diciamo, sia quello che diciamo con il corpo che quello che raccontiamo attraverso il blog con le nostre parole. Raccontiamo che non siamo monolitiche, non dobbiamo scegliere se essere intelligenti e con cose da dire o belle e seducenti. Possiamo essere entrambe le cose. Siamo diversissime ed è bello per questo.
Dove vuole arrivare Le Fanfarlo?
A conquistare il mondo!
Non lo so, ci muoviamo passo passo, stiamo imparando insieme e ognuna di noi ha i suoi compiti a seconda delle proprie competenze. Ci aggiustiamo strada facendo. Arriveranno altre energie, con il loro portato, e credo che questa differenza ci porterà a raccontare ancora meglio. Non abbiamo ancora una traiettoria definita, ma pare che questa strada sia bella.
Le Fanfarlo sono a Milano e online.
Per partecipare ai corsi potete contattarle qui.
Potete seguire le loro pazze avventure sul canale Instagram e sulla pagina Facebook.
Per innamorarvene vi basterà guardare anche solo uno dei loro video, testimonianze eloquenti di sorrisi contagiosi, genuina passione e dirompente femminilità.
Foto: I’M