Questo è un estratto tradotto del libro Feminists Don’t Wear Pink (and other lies). Amazing women on what the F-word means to them, una raccolta di contributi di donne che si interrogano sul significato di femminismo.
Ho scelto un contributo che mi ha colpito per la schiettezza e il coraggio con cui viene narrato uno spaccato di maternità reale e non ideale.
Il sesso debole
Di Keira Knightley
Alla mia bambina
La mia vagina si divise. Tu sei uscita con gli occhi aperti. Le braccia in aria. Urlando. Ti hanno messa sopra di me, ricoperta di sangue, di vernice caseosa, la testa deformata dal canale vaginale. Pulsante, ansimante, urlante. Ti spingevi in alto con le braccia, furiosa per la tua fragilità. Volevi vedere. Volevi conoscere. Ti sei aggrappata al mio seno immediatamente, avidamente. Mi ricordo il dolore. La bocca serrata intorno al mio capezzolo, la vita che succhiava e veniva succhiata. Mi ricordo le feci, il vomito, il sangue, i punti. Mi ricordo il mio campo di battaglia. Il tuo campo d battaglia e la vita pulsante. La sopravvivenza. E io sono il sesso debole? Lo sei tu?
Le persone sono subito venute in ospedale. La famiglia, gli amici sono venuti a vedere te, la dolce piccola bambina, e me, nella mia bellissima maternità. Abbiamo bevuto champagne e mangiato cibo cinese. Avevo il camice da ospedale e le mutande usa e getta. Il sangue che inzuppava l’assorbente incastrato tra le gambe. L’adrenalina mi scorreva nelle vene. Mi sentivo invincibile. Tu eri in una culla vicino al letto. Piangevi e io correvo da te. Mostrandomi a tutti gli uomini nella stanza, con il sangue che correva lungo le cosce, il sedere, la cellulite. Tu sei mia. Mia, e ti farò smettere di piangere. Il mio seno è esposto di fronte a tutti loro e non me ne frega niente. La tua vita è la mia vita. Tu hai bisogno di me. Io ci sarò. Che si fottano tutti con i loro occhi puntati, le facce imbarazzate per la mia semi-nudità selvaggia. È questa la dolce maternità?
Il giorno prima ho camminato per sette miglia. Da casa nostra al ristorante, dal ristorante al medico. Ho sentito l’acqua scorrere lungo la gamba in Clerkenwell Road. Indossavo i collant ed erano bagnati all’interno. È corsa giù fino nelle scarpe. Le mie scarpe preferite. Delle stringate marroni. Eri in posizione da un mese, la testa infilata tra le mie gambe, in attesa di uscire fuori. Non sapevo che le acque si fossero rotte. Non sapevo che l’intorpidimento e il dolore sordo fossero le prime contrazioni – andavano avanti da giorni. Pensavo di essermi fatta la pipì addosso. La vergogna. Ho camminato per altre due miglia fino dal medico. E li è cominciato.
Il giorno dopo che sei nata abbiamo lasciato l’ospedale. Mi sono fatta una doccia. Ho lavato i collant macchiati di sangue. Non ho dormito. Non dormirò più nello stesso modo in cui dormivo prima. Le mie scarpe sono incrostate e appiccicose per il liquido amniotico di ieri. Puzzano. Kate Middleton ha partorito sua figlia il giorno dopo il mio. Siamo lì a guardare lo schermo della TV. Era fuori dall’ospedale sette ore dopo, con la faccia truccata e i tacchi indossati. La faccia che il mondo voleva vedere. Nascondi. Nascondi il nostro dolore, i nostri corpi che si lacerano, i nostri seni gocciolanti, i nostri ormoni impazziti. Appari bella, appari elegante, non mostrare il tuo campo di battaglia, Kate. Sette ore dopo la tua lotta con la vita e la morte, sette ore dopo che il tuo corpo si è spalancato e la vita urlante e insanguinata è uscita fuori. Non farlo vedere. Non raccontarlo. Rimani lì con la tua bambina e fatti fotografare da un branco di fotografi maschi. Questa roba è facile. Capita tutti i giorni. Dov’è il problema? Anche la morte capita tutti i giorni, stronzi, ma non bisogna fingere che sia facile.
Non mi lavo da un mese. Non riesco a vestirmi. Gli ormoni impazziti. Sono in balia di tempeste silenziose più terribili del campo di battaglia. Sento tutto. È tutto troppo forte. Il mondo è troppo rumoroso. Il vento negli alberi rimbomba intorno a me. Rimbomba intorno a te. La morte. Vive a fianco a me. Ho portato la vita e ora capisco il terrore di perderla. Il mondo è troppo grande. Voglio stare con te in una grotta. In una grotta buia, profonda, tranquilla. Voglio farti scudo con il mio corpo. Piango. Non voglio che tuo papà se ne vada. Potrebbe essere sottratto da me. Non voglio che mia mamma se ne vada. Voglio che migliori le cose. Un giorno tutti voi potreste andarvene per sempre. Morirei per te. Ucciderei per te. Tu sei mia e io sono tua. La dolce maternità. I gatti neri mi spaventano.
Sono nata sul pavimento di sughero della cucina. Mio fratello dormiva al piano di sopra. Il primo campo di battaglia di mia mamma è stato un ospedale. Le avevano detto che non era in travaglio, che se lo stava immaginando, l’hanno fatta sedere su una dura sedia di legno mentre chiamavano un’infermiera psichiatrica. Il macchinario non aveva rilevato contrazioni. Non ascoltare la donna – cosa vuoi che ne sappia? E così è successo lì sulla sedia, le unghie che penetravano il legno. Il bambino e il corpo che prendevano il controllo. Si è aperta da davanti a dietro ed è uscito mio fratello. Non ha mai più messo piede in un ospedale. Con me è rimasta nella sua grotta. La cucina. Il cuore pulsante della casa. Il sesso debole.
Mia mamma lavorava. Ero così orgogliosa di lei. Così orgogliosa di essere sua figlia. Era una scrittrice con una voce. Se ne andava in giro a piedi nudi e dava spettacolo. Era ambiziosa e arrabbiata e mi amava. Poteva fare qualsiasi cosa. Io posso fare qualsiasi cosa. Farò qualsiasi cosa. È un’imbrogliona, una manipolatrice, una guerriera, un’amante; è irremovibile; è una fata. È una matriarca, mi ama ed è amata. È al comando. Io sono al comando. Tu sei al comando.
Lavoro. Lavoro perché mia mamma mi ha detto di farlo. Lavoro perché sono brava a farlo. Lavoro per la mia famiglia. Lavoro in modo che tu possa essere orgogliosa di me nel modo in cui io lo ero di lei. Lavoro per mostrarti che tu puoi farlo. Che devi. Mi presento puntuale, con le battute perfette, con delle idee e un’opinione. Sto in piedi con te tutta la notte se hai bisogno di me. A volte piango per la stanchezza. Tutta la notte sveglia con te e tutto il giorno a lavorare. Mi fai visita nella pausa pranzo o quando la camera si gira. Quel tempo è il tuo tempo. Provo in tutti i modi a esserci quando ti svegli e a metterti a letto. Sto male dalla stanchezza. Piango dalla stanchezza. Mi spezzo dalla stanchezza. I miei colleghi uomini possono arrivare in ritardo, possono non sapere le loro battute. Possono urlare e lanciare cose. Possono presentarsi ubriachi o non presentarsi affatto. Non vedono i loro figli. Io ti vedo. Sono tua e tu sei mia. Io non sono il sesso debole. Tu non sei il sesso debole. Noi non siamo il sesso debole.
Lavoro con gli uomini. Li guardo e loro mi guardano. Temono di non piacermi. Li fa impazzire. Mi svalutano, provano a non ascoltarmi, non mi parlano, non vogliono ascoltare la mia voce, la mia esperienza, la mia opinioni. Sii carina. Rimani lì. Mi spiegano cosa significa essere una donna. Sii gentile, solidale, carina ma non troppo carina, magra ma non troppo magra, sexy ma non troppo sexy, di successo ma non troppo successo. Indossa questi abiti, appari in questo modo, compre queste cose. Lavoro con gli uomini e temono di non piacermi. Li fa impazzire, li fa intristire, li fa urlare. Mi piacciono. Ma non voglio flirtare con loro e fargli da madre, flirtare e proteggerli, flirtare e proteggerli. Non voglio filtrare con voi perché non voglio scoparvi, e non voglio farvi da madre perché non sono vostra madre. Sono sua madre. Morirei per lei. Ucciderei per lei. Non è questo il tip di madre che intendono loro. Voglio solo lavorare, amico. Va bene? Parla e fatti ascoltare, fai parlare le presone con te e ascolta. L’ego maschile. Smettila di metterti in mezzo.