cosa significa queer

Cosa significa “queer”? Sei interpretazioni di queer

Queer è un termine complesso, poliedrico e fluido, che sfugge alle classificazioni rigide, alle definizioni chiuse e, spesso, anche alla comprensione.

Lo sentiamo e lo leggiamo con frequenza sempre maggiore, ma rimane ancora una parola controversa alla quale talvolta non sappiamo quale significato attribuire.

La sua origine è incerta, il passato burrascoso e il presente dibattuto.

In inglese queer indica qualcosa di strano, bizzarro, curioso, con un’accezione tendente al negativo. Quando è usato come verbo (to queer), infatti, significa rovinare, mandare all’aria, guastare.

Oggi queer è un termine che spunta fuori da arcobaleni, lustrini e parate celebrative, ma si porta dietro un passato monocromo e buio.
All’inizio del ‘900, nelle bocche sbagliate, queer è diventato uno strumento omofobo di discriminazione, usato contro le persone omosessuali per additare e condannare una devianza dalla norma eterosessuale, un’anormalità, una perversione. Il volgare e italiano “frocio”.
La svolta policroma è avvenuta tra gli anni ’80 e ’90, quando la comunità LGBT+ ha rivendicato il termine riappropriandosene e trasformandolo in uno strumento politico e un distintivo di orgoglio.

“We’re here, we’re queer, we will not live in fear”

(“Siamo qui, siamo queer, e non vivremo nella paura”)
Era lo slogan di protesta proveniente da gruppi come Queer Nation, organizzazione nata nel 1990 con lo scopo di sradicare l’omofobia e la violenza contro la comunità LGBT+ e promuoverne la visibilità. È uno slogan che riaffiora ancora oggi: di recente l’abbiamo sentito levarsi tra le strade di Orlando dopo la sparatoria di matrice omofobica del 2016, in un gay nightclub, che ha colpito più di cento persone e ne ha lasciate a terra quarantanove.

La rivendicazione è uno strumento potente in grado di neutralizzare la capacità d’odio e di violenza di una parola.
Pensate a quando si ripete una parola all’infinito fino a perderne il significato.
Rivendicare una parola significa ripeterla fino a sottrarle il potere di opprimere e ferire e conferirle quello di provocare, prima, e di unificare le persone sotto un’identità in cui possano riconoscersi, poi.

Oggi queer viene spesso definito come ‘termine ombrello’ per indicare lo spettro di identità di genere e orientamenti sessuali che rompono con la norma eterosessuale.
È un termine inclusivo e unificante che supera la distinzione tra sesso, orientamento sessuale e genere e crea un senso di comunità senza la necessità di cristallizzare gli individui in categorizzazioni rigide come ‘gay’, ‘lesbica’, ‘bisessuale’, ’transessuale’, ‘transgender’ eccetera.
Tuttavia, a causa del suo passato uso discriminatorio, il termine è rifiutato da alcune persone interne alla comunità LGBT+.

Per contribuire a migliorare la conoscenza del termine queer, ho chiesto a sei voci amiche e menti illuminate, che stimo, di rispondere a una domanda:

Cos’é “queer”?

Quelle che seguono sono sei interpretazioni, sei visioni queer. Anzi sette, perché dopo aver pubblicato il pezzo se n’è aggiunta una.
L’ordine è puramente casuale e non vale fermarsi prima della fine (e neanche scorrere per spoilerarsi chi ha scritto il pezzo prima di leggerlo: il condizionamento è sempre il male).


L’altro giorno un mio amico mi ha chiesto il significato della Q nella sigla LGBTQ+ (io sono uno di quelli che, se riesce, la riporta sempre così, con il + finale). Ho risposto riportando la classica definizione di Queer, e lui ha storto un po’ il naso. È un ragazzo all’antica, molto diretto, a cui piacciono le cose concrete, e non ha voglia di perdersi in troppa filosofia. Fosse per me, ha detto, potremmo dire CP+, ovvero o ti piace il Cock o ti piace la Pussy, e il + per le rimanenti eccezioni. Molto diretto, dicevo. Esistono tante persone che la pensano così, e il loro punto di vista è chiaro: visto che facciamo tanta fatica a essere accettati, perché non semplifichiamo almeno il modo in cui ci presentiamo, eliminando un po’ di etichette inutili? Be’, ho detto, perché se tu ti senti definito dalla parola “omosessuale”, non significa che non esista qualcuno meno a suo agio con una certa definizione. E le definizioni sono importanti, le usiamo continuamente! Non posso pensare di dovermi definire in un modo in cui non mi riconosco solo per compiacere gli altri. È lo stesso principio per cui non mi piace essere chiamato pervertito, suppongo. Allora il mio amico ha aperto una nuova app di incontri, mostrandomi un lunghissimo elenco di modi in cui era possibile definirsi nel profilo. La lista era davvero lunga: tra le varie categorie riportate, figuravano anche i sapiosessuali, cioè le persone che farebbero sesso solo con gli intelligenti (posto che non è un vero orientamento, mi dispiaccio di non averne mai incontrato uno, ma forse li ho sempre confusi con i presuntuosessuali). Devo ammettere che se includiamo nella nostra lista anche questo tipo di preferenze, forse rischiamo davvero di complicare le cose. Secondo me nelle dating app è necessario uno spazio bianco in fondo all’elenco, una casella guizzante che l’utente possa riempire con la definizione che più lo rispecchia, e che nessuno possa sentirsi in diritto di giudicare. Uno spazio che attraversi tutto lo spettro dei generi e degli orientamenti, che comprenda tutte le differenze rispetto a quella che la maggioranza chiamerebbe normalità statistica. E ripensandoci, ecco come mi immagino la parola Queer, la definizione che darei adesso al mio amico: quello spazio bianco di infinite, bellissime possibilità.

Zucchero Sintattico Alessandro Bianchi

Alessandro Bianchi
Il suo blog è Zucchero Sintattico, dove dice la sua su tematiche LGBTQ+, femminismo, equità, biscotti e Beyoncé.
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Questa è sicuramente una domanda complessa, proprio perché non penso esista una definizione standard e soprattutto, anche all’interno dell’arcipelago queer, sono diversi i modi e gli approcci a tale discorso. Anche solo scriverlo con una maiuscola o una minuscola o intenderlo come sostantivo o aggettivo può cambiare la risposta a questa domanda.

Esistono infatti la queer theory e i queer studies, che nell’accademia italiana sicuramente non sono stati recepiti come in molti altri paesi d’Europa o negli USA e non vengono considerati meritevoli di particolare “dignità”. Esistono però molte persone che “fanno queer”, dentro e fuori l’accademia, ed è il fuori che personalmente mi interessa maggiormente, anche se su questa dicotomia ancora si dibatte parecchio.

Non sono una teorica queer, ma è indubbio che nel mio attivismo politico utilizzi questa lente.

Tornando alla domanda iniziale, ovvero cosa significa queer per me, citerò una frase che spesso appare su cartelloni e striscioni durante alcuni Pride nel mondo e che sintetizza il mio posizionamento: “Queer liberation not rainbow capitalism”.

Il queer è e deve essere anche pratica ed é pratica anticapitalista volta ad aggredire e ribaltare la normatività – e quindi anche l’omonormatività! Sul concetto di “regime di visibilità omonormativo” dice molto bene Antonia Anna Ferrante nel suo “Pelle Queer, Maschere Straight” di recente pubblicazione (come dicevo, l’attivismo queer esiste e penso che godrà sempre più di ottima salute): “Gay e lesbiche, un tempo tra i “soggetti eccentrici” più destabilizzanti per l’ordine della società, oggi sono assimilabili, perché funzionali, al progetto di rifondazione dell’Occidente nel sistema neoliberista”.

Per me il queer non è solo la sbavatura me é la crepa, la ri-compattazione dei soggetti e delle soggettività “non-normali” che proprio per il loro statuto non possono – e non vogliono- essere assimilabili con l’esistente.

Nelle mie fantasie, il regime etero-patriarcale capitalista viene sconfitto da un’armata di favolosità eccentriche, storpie, inclassificabili, marginali, malate, dotate di protesi, ricoperte di glitter, imparruccate e con barbe posticce.

Il queer può essere lente, pratica, teoria, metodo.

Queer possono essere le nostre relazioni, le nostre comunità, i nostri spazi.

Costruire delle relazioni queer significa sovvertire e riformulare i concetti di famiglia, rapporti, legami, cura. Si tratta di rivendicare e attuare le miriadi di possibilità e alternative taciute, non previste, osteggiate. Tutto ciò che fuoriesce da ciò che è normale fa paura, perché straborda, crepa e mina l’organizzazione della società esistente nelle sue fondamenta.

Queer è favolosità.

Valentine-aka-Fluida-Wolf

Valentine aka Fluida Wolf
Trash-drag-bitch, attivista femminista transfemminista e traduttrice militante. Porta in giro per l’Italia e l’Europa i workshop sulla sessualità Eiaculazione per Fiche e Anal Liberation Front.
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Queer è una parola così malleabile sulla propria identità che ognuno – a suo modo – può farla propria in un significato totalmente differente rispetto ad un’altra persona. Ecco, secondo me queer significa proprio questo: essere ciò che si pensa di essere, smarcandosi dalle definizioni sociali generali come uomo e donna. In un’era di hyper-categorizzazione, queer è il termine arcobaleno che travalica ogni etichetta, schierato ma allo stesso tempo libero, politico ma allo stesso tempo intimo. O almeno questa ne è la mia personalissima visione. Mi sento queer perché sono una persona bisessuale che non si ritrova nei canoni macisti e maschilisti che la società occidentale capitalistica mi impone in quanto uomo. Mi sento molto più grande di ogni confine, con un potenziale sterminato che nessun costrutto sociale può limitare.

Rinchiuderci in categorie di pensiero e di definizione è il limite che ci ha portato a questo status sociale contemporaneo. Possiamo – e dobbiamo – essere più ampi di ogni concetto, di ogni parola, di ogni linguaggio. È l’umanità a scrivere il proprio vocabolario, in costante evoluzione. E noi possiamo essere le persone (e le parole) che più desideriamo. Liberarsi dalle categorie imposte dalla società è una coraggiosa impresa di autocoscienza.

Splendore, Mattia Barro

Quando scrive pezzi per IL e Rolling Stone è Mattia Barro.
Quando scrive musica, canta e mette i dischi è Splendore.
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Avete presente quando vi piace un sacco una maglietta ma non ve la potete mettere perché è fuori luogo? Perché è stretta e si vede la pancia, perché è fluo e vi guardano tutt*, perché ha dei dinosauri stampati e sono ridicoli, perché è viola e siete a teatro, perché è da uomo e tu sei donna, perché è passata di moda, perché dicono che ti sta male. Ora immaginate di scegliere di metterla lo stesso.

Queer per me è scegliere di mettere una maglietta perché ti piace, e basta. Senza badare alla taglia, al colore o al fatto che sia pensata per essere indossata da un uomo o una donna. Ovviamente è solo un esempio, anche un po’ scemo, una sorta di similitudine di cui mi sono servita, ma già questo esempio per me è potentissimo. Scegliere per sé senza paura e senza nessun tipo di distinzione, con consapevolezza, rifiutando stereotipi, etichette e categorie varie. È un atto forte e politico, non toglie niente a nessuno ma fa paura. Immagina un mondo dove puoi mettere quella maglietta quando e dove vuoi, bello no?

Frad_ramma

Francesca Damato. In arte Frad. Fumettista che racconta amore tra donne, drammi, ansiette, felicità, insicurezze, es io superio. Autrice di Non Facciamone Un Lesbodramma per Renbooks e Non Facciamone Un Lesbodramma Extended per Asterisco Edizioni.
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What a wonderful (queer) world

La traduzione di queer è “strano”, ma per me significa “libertà”.

Difatti, è il rifiuto di ogni etichetta in nome dell’autodeterminazione.

“Ma come puoi dire di rifiutare le etichette se poi alla fine usi quella per definirti?”

Vero, però ci sono due precisazioni da fare:

1. queer è un termine ombrello che comprende ogni tipo di diversità sessuale e non solo una specifica. Infatti, identifica chi non si riconosce in uno dei due generi e/o non ritiene di avere un orientamento sessuale specifico;

2. il rifiuto non è verso l’etichetta in sé, quanto alle costrizioni che potrebbe imporre.

Per questo urge un chiarimento: le etichette non sono sempre negative: possono aiutare a rintracciare persone che vivono la stessa esperienza, così da poter capire meglio un lato di sé. Io stesso sono stato aiutato dell’etichetta “gay” perché mi ha permesso un contatto con altri ragazzi omosessuali per costruire più consapevolmente la mia identità.

Il problema nasce quando un’etichetta ti impone dei comportamenti: siccome sei gay devi amare gli unicorni, siccome sei bisessuale devi essere attratto da chiunque, siccome sei lesbica devi essere un po’ mascolina, e via dicendo.

Infatti, il termine queer nasce anche per andare contro tutti questi stereotipi che noi persone LGBTI+ abbiamo interiorizzato. Perciò questo concetto diventa una “casa” in cui ritrovare tutti gli orientamenti sessuali e le espressioni di genere non conformi. “Strani”, appunto.

Io stesso, nonostante mi reputi cisgender e omosessuale, sento molto mia la parola queer. Questo perché ogni aspetto relativo al nostro genere e al nostro orientamento non è marmoreo e identico nel tempo: è capitato a molte persone di doversi ridefinire in età adulta, perché non potrebbe succedere anche a me?

“Quindi pensi che potresti svegliarti un giorno etero o transgender?”

Attualmente lo reputo improbabile. Questi gender troubles non avvengono mai in astratto, ma partono sempre da una situazione reale. Nel mio caso, io ho una situazione di partenza basata sull’essere cisgender, uomo e omosessuale. Magari un giorno scoprirò di essere attratto da una donna, oppure vivrò la mia mascolinità e la mia omosessualità in un modo differente, come già sto facendo rispetto dieci anni fa.

Proprio questi miei pensieri mi fanno pensare che il futuro debba essere queer: non solo perché le persone siano libere di autodeterminarsi da sole, ma perché si creino le condizioni per dirsi: “Wow, non la sapevo questa cosa! Grazie per avermelo detto, da oggi so qualcosa di più sul genere umano!”.

Matteo Botto

Matteo Botto
Ha creato il progetto di ricerca Contronarrazioni, che raccoglie e condivide storie di discriminazione.
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Queer è l’eccentrico per me, è il dettaglio che non ti aspetti. E’ fusione, contaminazione.

Ho sempre vissuto la mia vita con enorme Queerness e non lo sapevo. Troppo poco etero per gli etero, troppo femmina per essere lesbica. Aaaaaah, storcete pure il naso, nei 2000 era così!
Poi il cinema, i cantanti, i personaggi pubblici hanno decompresso l’idea della donna lesbica mascolina a tutti i costi, o ancora peggio della donna femmina del focolaio a tutti i costi.  Che palle. Una mamma, una donna, una ragazza, potrà sentirsi, vestirsi, addirittura amare chi e come minchia vuole?

Col tempo ho cominciato a godere delle mie forme da super femmina e dai miei modi schietti da ragazzo. Ho ammesso di voler fare carriera e di non volere figli. Ho accettato di non scendere a compromessi e di voler bastare a me stessa. Di sostenere la mia famiglia in momenti difficilissimi.
Per me essere una Queer Artist significa essere una delle tante meravigliose producer donne che portano i tacchi in un mondo di clienti uomini.
Significa rivendicare i piaceri della carne in un’Italia che ancora vuole le donne asessuate o puttane. Significa avere un esercito di allieve che guardo sbocciare quando durante l’anno cominciano ad amare le loro imperfezioni. Muoversi sinuosa e cacciatrice dietro enormi ventagli di piume. Significa avere uno dei miei più bei costumi di scena come abito maschile dai colori vividissimi e il taglio da killer catwalk.

Queer è alzarmi al mattino e ascoltare la Britney scheccando, mentre mi preparo a conquistare il mondo.

Ella Bottom Rouge

Ella Bottom Rouge
Burlesque performer e producer.
Ha all’attivo uno show sull’arte erotica, diverse coproduzioni e un festival di Burlesque che nel 2020 arriva alla terza edizione.
È un metro e sessanta di curve mozzafiato, pelle tatuata e un sorriso da ragazza della porta accanto. Ama lo stile vintage e i sex toys di vetro.
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Dopo aver letto l’articolo collaborativo di Le Sex En Rose sulla parola Queer, mi è venuta una forte voglia di dire la mia a riguardo.

E non perché ritenessi sbagliato ciò che ci è scritto, sia chiaro: le testimonianze delle sei persone coinvolte sono invece non solo validissime in quanto figlie dei loro vissuti personali, ma anche perfettamente in linea col mio pensiero, ovvero “Queer” come etichetta che supera le etichette, come modo per sfuggire alle definizioni in un mondo che obbliga a definirsi, come rifugio per chi vive o agisce una decostruzione e ricostruzione della norma e si trova quindi in difficoltà ad usare la norma stessa per definirsi.

Concetti semplicemente meravigliosi che condivido appieno.

La mia precisazione deriva però da un semplice fatto, ovvero che secondo me queste sono conseguenze, effetti, di un tipo di Queer più sotterraneo e pervasivo.

Chiariamo: non sono nessuno in confronto a un* Matteo di Contronarrazioni, un* Fluida Wolf, o un* Splendore, sia da un punto di vista di studi e conoscenza nel campo (sono attivista per i diritti della Comunità Rainbow solo da 3 anni) sia da quello di esperienze personali, essendo io un maschio eterosessuale.

Non ho vissuto sulla mia pelle discriminazioni per chi amo o per come l* amo (quel poco di “diverso” che ho, ovvero il poliamore, è stato fortunatamente subito accettato da chiunque), ma questo significa che per quanto mi sforzi non potrò mai capire fino in fondo la situazione delle persone che hanno scritto l’articolo, o di mie* compagn* nell’attivismo.

Però parlando con loro, sentendomi raccontare esperienze, difficoltà, opinioni politiche e filosofiche, e sviluppando nel frattempo il mio personale pensiero filosofico e politico a riguardo, ho avuto modo di crearmi una definizione che funziona molto bene su come vedo il mondo.

Inoltre, avere la forma mentis da ingegnere ha aiutato a far sì che questa definizione fosse molto generale e riuscissi ad applicarla ad ogni situazione (non solo alla Comunità Rainbow).

Per me Queer è un modo di pensare, in cui non si dà nulla per scontato.

Fine, facile facile.

Però secondo me nelle sue applicazioni questa definizione è potentissima, intersezionale, inclusiva e, appunto, Queer.

Ad esempio, parlando dell’identità, dell’etichetta che sfugge alle etichette che citavo prima: non dare nulla per scontato significa non dare per scontato che una persona voglia definirsi in un dato momento o in ogni momento, o che se lo vuole fare, voglia usare le etichette già esistenti.

Queste sono cose che culturalmente diamo per assodate, quando tanto per cominciare la lingua evolve e quindi non è assolutamente ovvio che le parole di oggi possano soddisfare il bisogno di definirsi di qualcun*; e soprattutto anche lo stesso definirsi è qualcosa che diamo per scontato, quando risulta naturale che non dovrebbe esserlo in alcuni casi: la definizione è uno strumento che abbiamo per presentarci al prossimo e far capire chi ha di fronte, ma questo implica che nella maggior parte dei casi sia interamente o quasi superflua, e pensiero Queer è quindi anche evitare di dare per scontato che io o l’altra persona necessitiamo di definirci per poter interagire.

Sapere che una persona è omosessuale od eterosessuale, ad esempio, risulta un’informazione veramente utile solo in tre casi, secondo me: se c’è intimità e si è curios* dell’altra persona, se si sta cercando di capire la compatibilità fisica o romantica, o se questa parte dell’identità della persona è talmente fondante e fondamentale da volerla rendere parte del proprio presentarsi.

In altre situazioni, richiedere questa informazione a qualcun* per me non ha senso, e ai miei occhi risulta solo come un farsi i fatti altrui senza motivazione. Il cercare quindi di scollarsi da questa curiosità morbosa ed inopportuna che alle volte ci pervade è per me pensiero Queer.

Stesso discorso si applica naturalmente al genere: se io mi vedo con una persona e questa porta con sé e mi presenta un* su* amic* che non riesco a identificare esteticamente con uno dei due generi binari, che interesse ho io nel volerlo sapere?

Sto uscendo con un*amic*, non è un’informazione che dovrebbe essere rilevante, come non lo è sapere il suo segno zodiacale o dove abita o qual è il suo gusto di gelato preferito.

Se poi non riuscirò più ad utilizzare un linguaggio neutro e chiederò i suoi pronomi, se la discussione verterà in quella direzione o se questa persona vorrà farmi sapere uno o più di questi suoi tratti perché li vive fortemente, ben venga: avrò agito io pensiero Queer nel non dare per scontata la sua identità, e avrà agito lei pensiero Queer nell’autodeterminare quali tratti di sé presentare, eventualmente in barba a cosa dice il nostro retaggio culturale.

Perché agire pensiero Queer è anche questo: non è semplicemente decidere di non volersi definire, ma decidere come definirsi nella più totale libertà.

Questo comprende sia le persone più lontane dalla norma che ci siano, sia quelle più vicine: usando il mio vissuto, io non ho colpe se mi sento bene nel mio corpo e mi piacciono persone del genere opposto al mio, ma sono definizioni che ho sviluppato e rafforzato nel tempo e che ho scelto in libertà, non semplicemente perché me lo impone la norma, allo stesso modo in cui la donna femminista più convinta del mondo eventualmente può e deve sentirsi libera di vestire gonne e tacchi, truccarsi, sposarsi, avere figli* e rimanere in casa a badare a loro e fare la casalinga.

Libertà e pensiero Queer non significano obbligatoriamente allontanarsi dalla norma, ma avere la libertà totale di scegliere la propria strada fuori da ogni fondamenta culturale che diamo per scontata, anche se alla fine dovesse casualmente coincidervi, perché la si avrà scelta in piena coscienza di sé.

Per questo all’inizio parlavo di decostruzione e ricostruzione: la norma va decostruita, analizzata, capita, e poi ricostruita, non come nuova norma, ma come spazio di autodeterminazione (personale e/o condiviso), senza nessun limite.

Come dicevo però, questo pensiero Queer in potenza si applica ovunque: pensiero Queer è anche smettere di pensare di trattare le persone in modo uguale e cominciare a trattarle in modo equo, dato che sono due cose molto diverse, sia nella vita di tutti i giorni che nella legge.

Le persone non sono tutte uguali, mai lo sono state e mai lo saranno: io sono diverso da te che leggi, sono diverso da Le Sex En Rose, sono diverso dal Papa e dal* passante qui fuori in strada.

Abbiamo diverse caratteristiche, diversi punti di forza, diverse debolezze e diversi bisogni.

Prendere la maggioranza e farne norma, trattando tutt* come andrebbero trattat* molt*, è un comportamento miope.

Il fatto che la maggior parte delle persone siano onnivore e non abbiano bisogno di particolari diete non significa che bisogni ignorare opzioni vegane o per celiaci nei propri menù.

Il fatto che quasi chiunque ci veda bene non significa dover ignorare l’opzione di indicazioni stradali in braille.

L’alternativa è un grosso investimento di soldi e risorse? Sicuramente, ma permette a tutte le persone di avere pari opportunità e di vivere una vita senza muri: un investimento molto intelligente e lungimirante.

O ancora, diamo spesso per scontato che una persona abbia solo un problema maggioritario e ci si muove per affrontare quello.

Sicuramente l’aiuto è sempre ben accetto, ma varie persone senzatetto ad esempio possono avere storie e bisogni molto diversi, o portare contributi diversi: una persona senzatetto transgender, una sorda, una laureata…

Sono tutte persone senzatetto? Sì.

Devo quindi trattarle tutte allo stesso modo? No, perché non sono solo tutte persone senzatetto, come diamo per scontato, ma anche molto altro, e pensiero Queer è non fermarsi alla prima definizione ma andare oltre per capire davvero la persona che si ha davanti ed essere in grado di fornire davvero l’aiuto richiesto, e non solo quello che ci immaginiamo esserlo. La famosa intersezionalità è figlia di questo pensiero, ovvero capire che le persone non sono solo le loro etichette, divise a compartimenti stagni, ma sono tutte una unione fluida di tantissimi elementi che possiamo solo cercare di carpire con la mente, figuriamoci col linguaggio e con le norme, sociali o meno.

Poi volendo con gli esempi si potrebbe andare avanti all’infinito:
pensiero Queer è non dare per scontato che una persona vestita in modo femminile voglia usare i pronomi femminili; è non dare per scontato che se una persona ha fatto sesso con me ieri lo voglia fare anche oggi; non dare per scontato che un*adult* e un* bambin* insieme siano per forza genitore e figli*; non dare per scontato che se un*amic* mi offre una cena allora non abbia problemi economici; ecc ecc ecc.

Prima capiremo che il mondo è fluido e meravigliosamente più complesso di quanto ci aspettiamo e che il pensiero Queer ci permette non di mettervi argini che poi sistematicamente cedono, ma di metterci il costume da bagno e di sguazzare e godere di questa fluidità e di tutte le sfaccettature e opportunità che esistono, meglio vivremo, a parer mio.

francesco tinivella

Francesco Tinivella
(Circa) ally, attivista volontario presso Arcigay Torino “Ottavio Mai”, si occupa di formazione, specialmente dentro le scuole.
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