Abbiamo incontrato Alithia Maltese per la prima volta durante un TNG Torino (The Next Generation), l’aperitivo aperto a tutte le persone under 35 interessate alla sessualità kinky/alternativa (è organizzato in diverse città italiane e del mondo).
Da allora Alithia è diventata un’amica, una vicina di casa e compagna di chiacchiere davanti a tisane e caffè d’orzo pomeridiani e anche la nostra insegnante di bondage e rigger di riferimento.
Perché Alitha è un’insegnante di Kinbaku, il bondage giapponese (sarà lei a guidarci in questo mondo).
Podcast
Per chi volesse entrare nello studio en rose: la traccia audio dell’intervista comprende behind the scenes e intrusioni di campane, clacson, motori e talvolta cani.
Video
Trascrizione
(Ricordiamo che i testi tra le parentesi quadre [ ] sono annotazioni esterne all’intervista che ne facilitano la comprensione. Il testo in grassetto è la voce di Morena, l’altro quella di Alithia.)
Sono un po’ arrugginita.
Benvenuta Alithia. Vado con la Z perché è più facile [mi riferisco alla pronuncia del “th” al centro di Alithia, che mette a dura prova la lingua].
È da tanto che non facciamo queste interviste nude: l’ultima persona è stata June Plã, autrice di Club Godo.
Questa è un’intervista un po’ diversa dal solito, un po’ perché ci conosciamo già bene. Di solito si siedono qua (o noi andiamo a sederci a casa di) persone con cui non abbiamo mai parlato prima, con le quali la prima conversazione inizia nuda. In questo caso è un po’ diverso perché ci sono state delle conversazioni precedenti.
Più o meno nude.
Tu ti sei anche già spogliata qua dentro, perché abbiamo fatto un servizio fotografico, quindi non sei nuova a questa situazione.
Vado con la prima domanda, che è uguale per tutt*, che di solito non è quella più semplice.

Chi è Alithia?
Iniziamo con le domande esistenziali. Intanto Alithia non sono io, perché io sono Chiara. Per me è importante fare questa distinzione perché molto spesso le persone mi si rivolgono come Alithia e si dimenticano che esiste Chiara, che c’è una persona, che non sono soltanto una professione e un’immagine su Instagram ma che ho una vita, per esempio.
E che non ti chiami Maltese di cognome.
E che non mi chiamo Maltese di cognome, quindi è inutile che cercate di venirmi a citofonare, non mi trovate. Alithia Maltese è il mio alter ego con cui compaio online e non solo quando tratto di argomenti riguardanti la sessualità alternativa. In particolare io insegno bondage, che è quello in cui mi sto specializzando e che non finirò mai di studiare perché è una cosa che amo e che voglio approfondire tantissimo. Questa è la mia attività principale, quella per cui magari qualcuno ha già sentito il mio nome. In generale mi occupo anche di organizzare eventi – BDSM e non – e di fare conferenze sul consenso e di trattare la sessualità a 360 gradi. Quindi Alithia non è Chiara ma Alithia è questo ed è una parte molto grande della mia vita.
Ma Chiara è anche Alithia?
Sicuramente sì, per la passione che io ho per la sessualità alternativa e per il BDSM – io pratico BDSM, non soltanto come Alithia ma anche come Chiara. È uno dei modi che ho per interagire con le persone, quindi sì, Chiara è anche Alithia.
Diciamo che oggi ci concentriamo un po’ più sulle corde, che è un po’ quello che noi percepiamo come la tua essenza, il tuo elemento. Quindi parliamo un po’ di bondage e di corde.

Partiamo dalle origini. Come ti sei avvicinata alle corde? Come hai capito che quella cosa ti poteva piacere? Anche perché non è qualcosa che sia estremamente visibilizzato nel mainstream. Solitamente non capita di avere già amicizie già o di vederlo praticato, di vederlo in tv in un film. È una cosa che – per avvicinarsi, per conoscerla – bisogna aver visto da qualche parte, e non è così semplice. Quindi da dove parte tutto?
Intanto io ho sempre amato utilizzare le corde anche da piccola, per costruire delle cose, legavo oggetti. Ho fatto scoutismo, legavo, ero bravissima, ero l’orgoglio di papà quando facevo le legature e proprio con un ragazzo degli scout abbiamo pensato di provare a fare bondage, ma non con le corde. Non mi ricordo se avessimo visto un film che ci aveva fatto venire quest’idea, ma più probabilmente l’abbiamo visto dopo. Abbiamo pensato semplicemente – come tante persone in realtà pensano, perché il bondage è una delle fantasie erotiche più comuni – di provare a immobilizzarci e bendarci mentre eravamo in intimità. Da qui alla mia scoperta di che cos’è il Kinbaku, cioè il bondage giapponese, che è quello che io preferisco, sono passati tantissimi anni. Ci sono arrivata nel 2014, quando a Torino sono iniziati a esserci dei primi eventi, i primi aperitivi conoscitivi per persone interessate al BDSM. E allora, quando ero lì, mi hanno chiesto A te cosa piace? Cosa ti interessa? Io ho parlato delle mie esperienze pregresse, che non riguardavano solo il bondage ma sempre cose abbastanza soft, devo dire, e così mi hanno spiegato che esistevano dei corsi per imparare a fare bondage usando le corde e io sono impazzita, ho cominciato a cercare insegnanti, perché ce ne sono tanti, ci sono tante scuole, ci sono molte differenze tra i vari stili. Ho cercato di esplorare il più possibile, anche con l’aiuto di un paio di persone che sono state fondamentali nella mia formazione. E alla fine ho scelto quello che poi è diventato il mio maestro, che continuo a seguire, e così ho iniziato effettivamente a legare.
Senza entrare nel tecnico, perché non è l’obiettivo di questa intervista – l’obiettivo è addentrarci un po’ nel tuo mondo e vederlo anche attraverso i tuoi occhi.

Cos’è il bondage? È un’arte? È una pratica erotica-sessuale? Come possiamo descriverlo?
È una pratica erotica, in generale molto intima. Io personalmente non ho relazioni sessuali con tutte le persone con cui lo pratico, ma sono in intimità con tutte le persone con cui lo pratico, siamo molto amici, siamo in confidenza. È una pratica erotica, come definizione, in cui viene limitata la possibilità di movimento – completamente o in maniera parziale, per un tempo limitato – della persona con cui stiamo interagendo. È compresa nel bondage anche la deprivazione sensoriale, quindi tutto quello che può riguardare bende.
Infatti la classica benda sugli occhi è il riferimento che un po’ chiunque ha in mente o ha già visto. Ecco, questa forse è la parte più visibilizzata.
Sì perché in tantissimi film si vede questo tipo di pratica. Esiste. Le corde sono una cosa a parte. Non si utilizzano solo le corde. Il bondage in generale è fatto di tantissimi strumenti, infatti quello con le corde viene chiamato rope bondage per via, appunto, dello strumento che viene utilizzato. Però tutto quello che riguarda immobilizzazione è bondage, quindi anche manette, il legarsi i polsi con la cintura dell’accappatoio…
Immagino che in testa di qualcuno risuoni anche la parola Shibari.
Sì, Shibari e Kinbaku sono due modi per chiamare il bondage giapponese. Essendo il bondage giapponese praticamente esclusivamente rope bondage, si fa con le corde.

Parliamo un po’ più di te. Cosa sono le corde per te? Cosa rappresentano?
Tutte domande facili.
Dunque, le corde per me rappresentano uno strumento di comunicazione, è il modo in cui io parlo con le persone. Tra l’altro, essendo molto timida, anche quando voglio avere un approccio sessuale è molto più facile per me averlo attraverso le corde.
Ti immagino con il lazo ad accalappiare gente per strada.
Se c’è qualcuno che mi piace magari chiedo se ha voglia di fare corde con me così magari mentre leghiamo ho modo di vedere quali sono le sue reazioni al contatto con me ed eventualmente cerco di approfondire piano piano, piano piano, piano piano, in maniera molto graduale, in modo che in qualunque momento questo tipo di interazione possa essere interrotto. Per cercare di sondare il terreno. E in generale è, appunto, uno strumento di comunicazione. Per me è come se fossero un prolungamento delle mie mani. Posso utilizzarle per anche per coccolare le persone. La sensazione delle corde del kinbaku, dello stile che facci io, è molto intensa, non è mai comodo. Però ci sono anche dei modi per coccolare, dei modi per farsi sentire più dominanti, ci sono dei modi per fare degli approcci sessuali erotici. Io lo uso tanto e tante volte, nonostante io sia una persona che parla tanto e che ama scrivere, le corde mi servono per sostituire la parola quando la parola non è abbastanza.
Quindi selezioni i tuoi/le tue partner in base a come reagiscono con le corde?
Non era in scaletta, ma mentre parli mi faccio venire quei dubbi e quelle curiosità che verrebbero alle persone.
Se c’è una persona che mostra un sacco di resistenza verso le corde, la escludiamo a priori?
No, assolutamente no, non è un discrimine che utilizzo per capire se posso interagire con una persona o meno. È solo il modo più facile per me per avvicinarmi, probabilmente. Per quanto mi piaccia molto condividere questo aspetto con le persone con cui sono in intimità, non è una cosa che dev’esserci obbligatoriamente.
È bello vederti da fuori, noi ti abbiamo vista più volte. Guardandoti io lo percepisco veramente come il tuo elemento perché switchi, prendi in mano le corde e diventi Alithia.
È sempre Chiara, però è un altro aspetto, un aspetto che magari di solito non si vede.
Esce fuori qualcosa in più, non un sostituto di Chiara ma qualcosa in più, e si accende qualcosa nei tuoi occhi e lì parte un’altra dinamica. È molto bello da vedere da fuori.

Hai accennato gli stili di bondage. Esistono diversi stili? Delle scuole? C’è una struttura piramidale? Com’è il mondo del bondage? Quello che non si vede?
Abbastanza complesso. Cominciamo col dividere il bondage fatto con le corde e quello fatto senza corde. E questa è la prima parte. Parlando di quello con le corde, ci sono due grandi ramificazioni che sono il bondage occidentale, chiamato anche western bondage, e quello giapponese. Io non conosco benissimo quello occidentale, nel senso che se vedo una foto lo riconosco, conosco alcuni nomi di rigger importanti, però non l’ho mai studiato, non l’ho mai approfondito. Per quanto riguarda invece la parte giapponese, ci sono tantissime scuole, tradizioni differenti… Quando dico tradizioni non intendo però tradizioni millenarie, come alle volte si sente dire quando si parla dello Shibari e del Kinbaku. In realtà è nato tutto all’inizio del ‘900, e già in questo secolo e qualcosa si sono create scuole differenti, tradizioni differenti e modalità completamente diverse. Per esempio c’è una modalità che dall’esterno appare un po’ più performativa, in cui si cambiano tante posizioni durante la sessione o durante la performance. Molti dicono che è un’arte. Non sono d’accordo sul fatto che sia un’arte, o comunque non solo, ma esistono delle performance, quindi le persone possono vedere, assistere alle sessioni. Ci sonno delle scuole, delle persone, che hanno approfondito questo aspetto di fare tante transizioni. Io faccio parte di una delle scuole con un pensiero un po’ più tradizionale, che si dedica soprattutto alla parte di comunicazione, di tormento, all’interno delle corde, e che si chiama semenawa. E quindi anche all’interno del bondage giapponese ci sono delle differenze. Ognuno sceglie quello che sente più vicino a sé.

A chi è esterno a questo mondo arriva prima il lato estetico. Quanta importanza ha?
Il lato estetico per me è importante: una delle cose che cerco di fare sempre quando lego una persona è quella di farla sentire bella, di farla sentire a suo agio, nonostante sia molto intenso, molto impegnativo. Anche se non c’è nessuno che sta guardando. A me piace che la persona che lego mi dica che l’ho fatta sentire bella, che l’ho fatta sentire bene. Ci sono anche molte persone che dicono che l’aspetto estetico e la sicurezza sono legate, perché in genere una legatura fatta bene è anche una legatura bella, è anche una legatura sicura. Ci sono anche legature che possono essere volutamente disordinate, è una scelta estetica. Ce ne sono altre che sono disordinate perché evidentemente chi le ha eseguite non è tanto bravo e quindi vuol dire che non sono fatte bene. Però l’estetica è importante, perché una delle cose che si dice è che per fare kinbaku ci vanno tre persone: la persona che lega, la persona che viene legata e la persona che guarda. E non soltanto per una questione di estetica ma anche per una questione di esposizione, di umiliazione, di esibizionismo. Nel caso in cui si faccia in due, la persona che guarda può essere il rigger stesso, cioè la persona che lega. O la persona che si sta facendo legare, che si percepisce. Quindi sicuramente è importante. Per diciamo che a me fanno sorridere le persone che mi scrivono perché vogliono imparare a legare, vogliono imparare a fare le sospensioni “per fare le foto”. Va bene, va benissimo, però non è una cosa che puoi imparare così, in maniera immediata, ci va tanto tempo, tanta applicazione, tanta disciplina. A volte le persone pensano che per fare una cosa estetica, per fare un set di foto di sospensioni, basti prendere due lezioni. Non è possibile che ci sia solo la parte estetica.
Non credo che sia qualcosa che puoi vivere in maniera distaccata. Nel momento in cui provi tendenzialmente va a toccare qualche corda e a tirare fuori delle cose. Non credo sia possibile viverla in maniera distaccata e solo dal lato estetico.
C’è chi lo fa, magari non nelle legature più complesse. Ci sono anche video di cantanti legate che però lo fanno perché stanno solo girando il video della canzone, quindi in quel caso non è BDSM. Diventa un’altra cosa. Magari sono persone che fanno gli insegnanti di bondage a eseguire queste legature, però non è detto che ci sia dietro una sessione BDSM. Anzi, la maggior parte delle volte in quel caso è solo una questione d’immagine. Anche Madonna in un suo tour ha chiamato un insegnante a eseguire delle legature, però era semplicemente una questione di scenografia, non c’entra con il BDSM.

Tu leghi, sei una rigger (il rigger è la persona che lega). Ma ti fai anche legare?
Sì, raramente, perché ci va un po’ per me per riuscire a fidarmi di una persona tanto da farmi legare. Però l’ho fatto, in passato, diverse volte. Adesso c’è solo una persona che ha il permesso di legarmi, è una cosa che mi piace molto. Le corde mi piacciono sia da top che da bottom e non è neanche l’unica pratica in cui switcho. È capitato per esempio di fare needle play [la pratica kinky di “piercing temporaneo” che prevede la perforazione della pelle con aghi], di fare clinical [l’insieme delle pratiche BDSM a tema medico, di cui fa parte il needle play]. In quel caso, anche se l’ho sperimentato in una forma molto soft, perché sul clinical ho un po’ di timore, mi è capitato di provare anche da bottom. Quando vengo legata mi piace molto sentire quello che il rigger ha da dirmi. Mi piace sentire come reagisce il mio corpo allo stimolo delle corde, all’intensità della legatura. E poi ci sono sempre le nostre amiche endorfine che agiscono, una tra le tante sostanze che il nostro corpo rilascia per permetterci di sopportare l’intensità di quello che stiamo facendo. E quelle sono veramente addictive, quindi in genere chi prova le corde per la prima volta e sperimenta questo rilascio di endorfine poi non vuole più smettere perché è una cosa molto piacevole.
Da fuori non traspare nulla. Questa cosa mi ha stupito tantissimo. Tu mi hai legata tre volte, Ivano sta imparando a legare, e da fuori trovo che non arrivi nulla se non l’estetica, l’aspetto scenografico, del rituale. Esce la gestualità delle corde ma oltre quello non puoi sapere cosa succede davvero.
Non puoi sapere cosa succede nella testa delle persone che lo stanno facendo in quel momento.
Anche nel corpo, a livello di sensazioni. Mi sono resa conto di questa cosa, che non è immaginabile. Da fuori sembra ache una cosa semplice. E invece c’è una complessità che se non provi sulla tua pelle, letteralmente, non puoi conoscere.
No, sicuramente non riesci a immaginarlo. Ti puoi fare delle idee. Ci sono delle persone che sono più espressive rispetto ad altre, quindi puoi capire se quella persona sta provando piacere o sofferenza, ma di certo non puoi sapere cosa sta succedendo nella sua testa o nel suo corpo, né a livello di reazioni chimiche, biochimiche, né a livello di immaginazione o di comunicazione. Cambia tantissimo, tra l’altro, se io faccio corde con te, se io faccio corde con la mia bottom, se io faccio corde con il mio compagno. È sempre diverso. È diverso anche giorno per giorno e nel momento della giornata, ci sono tantissime variabili. Se conosci le persone che stai guardando, e se hai già provato a farti legare o a legare, ti ci puoi avvicinare. Ma se non hai mai provato è veramente difficile.

Segui un rituale quando leghi? A livello di gestualità, tempistiche, preparazione. Ti prepari in qualche modo? Sul piano mentale o fisico?
In realtà io cerco di tenerlo sempre come una cosa molto spontanea, perché in quel momento ho voglia di legarti e se tu hai voglia di farti legare lo facciamo, punto e basta. Questo per quanto riguarda il discorso sessione. Poi c’è il discorso allenamento, in cui invece ci si mette d’accoro, ma è completamente differente. Personalmente non ho dei rituali. Cioè, quello che faccio sempre sono delle cose che sono funzionali a quello che devo fare, tipo prendere il furoshiki, che è l’involucro dentro cui tengo le corde [un quadrato di tessuto che viene chiuso e legato a fagotto], aprirlo, disporre le corde, mettermi dietro la persona che sto legando che sta in ginocchio davanti a me, posizionare le braccia. Ma sono tutte cose funzionali. Dall’esterno effettivamente sembra un rituale, perché i movimenti che si ripetono spesso sono quelli, ma non sono io che ho caricato di significato questi gesti. Questi momenti possono anche servire come preparazione per entrare nell’atmosfera o per decidere che tipo di atmosfera vogliamo creare. Per cui magari quando sono dietro alla persona che sto per legare, anziché iniziare immediatamente mi prendo del tempo. Per creare l’atmosfera, la sensazione di attesa. E quello fa già parte della scena, anche se non ho ancora toccato le corde. Quindi un rituale vero e proprio non c’è, però da fuori facilmente questi gesti sembrano una cosa quasi mistica. Ci sono delle persone che invece fanno delle cose per settarsi. Conosco una bottom che prepara le corde prima che il rigger la leghi, e a lei serve per entrare nel mood. Quindi qualcuno che lo fa c’è. Personalmente non mi sono mai preoccupata di creare un rituale.
Invece quando insegni hai un ruolo? Le persone si devono rivolgere a te in qualche modo particolare? Si instaura un legame diverso? Una subalternità?
Se penso a me da studentessa, sicuramente quando penso al mio maestro lo faccio sempre con tantissimo affetto e con tantissima stima. Però è anche una delle persone con cui io mi sento più a mio agio nel parlare dei fatti miei, anche delle cose personali, nonostante lui abbia miliardi di studenti. C’è un rapporto uno a uno perché io so che quando voglio posso chiamarlo e chiedergli sia consigli sulle corde sia fare una chiacchiera. Però secondo me non c’è quella cosa nei miei studenti vero di me. Sanno che su quello specifico argomento io sono più preparata di loro in quel momento, posso dargli due dritte, posso spiegargli come fare le cose in sicurezza. Però io cerco di non creare questo tipo di distacco. Nelle arte marziali c’è il Sensei e anche noi usiamo “sensei” quando parliamo dei nostri maestri o dei maestri dei nostri maestri o comunque di persone che insegnano, quindi persone a cui vanno la nostra stima e il nostro rispetto perché sappiamo che sono enormi rispetto a noi. Ma è diverso. Ogni tanto mi capita qualche studente che comincia a chiamarmi sensei; io gli chiedo di smettere immediatamente perché non sono niente e nessuno, sono solo una persona che ne sa di più in quel caso e non mi piace che si crei distacco. Molti dei miei studenti sono diventati miei carissimi amici e alcuni miei amici sono diventati miei studenti, ma resta il rapporto di amicizia, di gioco, di scherzo, non voglio essere superiore, non mi sento superiore, non voglio che chi comincia a studiare con me senta questo distacco.

Quanto le corde hanno a che fare col dolore?
Io preferisco distinguere tra dolore e sofferenza. E non solo io, è una cosa che si fa nel BDSM. Quando parliamo di dolore intendiamo magari un dolore improvviso, che può essere sbattere il piede contro il comodino, che è una cosa che non ci dev’essere, che non è prevista, che non è ricercata, e quindi se sento dolore avviso la persona che mi sta legando che va a controllare cosa sta succedendo e mi slega. O prima mi slega e poi controlla cosa sta succedendo, a seconda dell’entità della cosa. Mentre la sofferenza nelle corde, soprattutto nello stile che faccio io, è strettamente collegata perché, come dicevo prima, non c’è niente di comodo e le posizioni, le costrizioni delle corde sicuramente provocano del discomfort che può arrivare anche alla sofferenza. Dove però per sofferenza intendiamo uno stimolo molto intenso, quello che fa scatenare tutte le reazioni biochimiche di cui parlavamo prima, tra cui appunto le famosissime endorfine che sono quelle che vengono nominate più spesso ma in realtà è molto più complesso di così. A uno stimolo molto intenso, che può essere appunto quello della sofferenza, corrisponde un piacere molto grande.
Per chi si avvicina a questo mondo: ci sono delle regole base per iniziare?
In generale nel BDSM, non solo nel bondage. Per me le cose che andrebbero fatte sono: informarsi, capire se quella cosa fa per te – ovviamente puoi capirlo provando, ma per provare devi scegliere delle persone che siano in grado o almeno che tu reputi in grado di farlo, e se tu pensi di non avere abbastanza conoscenza della materia, la prima cosa che puoi fare è chiedere referenze. Io sono una grande fan della community BDSM anche perché anche se sei novizio/a, ti stai appena avvicinando, se ti interessa qualche pratica in quell’ambito, puoi chiedere consigli e referenze su persone con le quali vuoi giocare. Quindi informazione prima di tutto. E poi ovviamente ci va un minimo di consapevolezza del proprio corpo. Nel caso del bondage, banalmente, devo sapere e devo informare la persona che mi legherà su eventuali traumi che ho subito in passato a livello fisico. Se la persona che ti legherà è abbastanza brava, andrà piano e quindi anche se tu non spiegherai per filo e per segno che problemi hai, avrai lo stesso una buona esperienza. Però se ci sono dei problemi rilevanti bisogna sempre informare la persona con cui stai giocando. Poi stare attenti.
Questo nella vita, nella sessualità, non solo nel BDSM. Solitamente tutte le cose che valgono per il bondage, per il BDSM, in realtà dovrebbero valere anche al di fuori e in tutta la sessualità.
Un’altra cosa che vale sia per il BDSM che per il dating in generale: se incontri una persona per la prima volta, incontrala al bar prima di invitarla a casa, così riesci a capire se ti piace o meno. Se hai la possibilità di chiedere feedback prima, ancora meglio. Così com’è importante far valere il proprio consenso, sia da top che da bottom. Tante volte si pensa che solo i bottom debbano esprimere il consenso, invece no, anche i top.
Capitano anche delle persone che arrivano da me e mi dicono “mi leghi?” come se io avessi l’obbligo di farlo perché altrimenti ne va della mia figura. Se non ho voglia o se sono stanca o se non m’interessi, non sono obbligata a dirti di sì.
Anche perché non è proprio una professione…
E infatti a volte mi scrivono su Instagram o mi mandano e-mail per chiedermi di fare sessione, ma io non mi sento di fare sessione con persone che non conosco. Posso farti provare cosa vuol dire essere legato, forse, ma se non ti conosco, se non sono in un buon rapporto con te, se non m’interessa dirti qualcosa, se non ho nulla da dirti è inutile che ti lego.
Altrimenti diventa una cosa di servizio, meccanica. Magari puoi scoprire cosa vuol dire sentire la corda sulla pelle ma non scoprirai mai che cosa vuol dire la comunicazione a livello profondo. Se non ho niente da dirti preferisco non legarti.

Andiamo alle domande un po’ più spicy.
Che posto ha l’eccitazione nel bondage? Se ha un posto.
Secondo me ce l’ha ed è fondamentale, indipendentemente dal tipo di situazione che non è detto che sia per forza sessuale. Oltre a moltissime persone che conosco, io stessa, non mi eccito in maniera sessuale ogni volta che lego. Però c’è sempre quella cosa del… sì, è proprio l’eccitazione, l’aspettativa, il cercare di creare qualcosa. C’è un’emozione forte, vai in fibrillazione. Non dev’essere per forza sessuale. È come il discorso del piacere: è collegato al BDSM? Assolutamente sì, ma non dev’essere per forza il piacere sessuale comunemente inteso.
Forse è più un discorso di coinvolgimento.
Di coinvolgimento, di costruzione della scena, di costruzione del rapporto con l’altra persona. Alle volte, magari, se stai legando il tuo partner/la tua partner o una persona che ti piace, l’eccitazione sessuale è anche la spinta per legare, ma non è detto che sia sempre così. Secondo me se non ti emozioni mentre leghi, se non ti emozioni mentre fai BDSM, che lo fai a fare?
Al contrario, invece, si può svincolare il bondage dall’erotismo? E ha senso farlo?
Se parliamo semplicemente del discorso erotismo, come ti dicevo prima, io lego anche persone con cui non sono mai andata a letto, con cui però comunque sono molto in intimità. Quindi se parliamo di erotismo in questo senso, secondo me si può svincolare. Comunque qualcosa dev’esserci, un rapporto dev’esserci per me. Parlando di BDSM, se non c’è un rapporto di dominazione/sottomissione – che non vuol dire dominazione/sottomissione “brutta” ma semplicemente in quel momento sono io che mi sto prendendo carico di una parte e tu fai un’altra parte – se non c’è quella componente lì non è BDSM, quindi torniamo a quello che dicevamo prima delle cantanti e dei cantanti legati nei video. Ci sono le corde, la figura magari è quella, l’estetica ricorda quello, ma non c’è la spinta, non c’è la ricerca del piacere, non c’è la costruzione del rapporto con l’altra persona e non c’è minima scena di BDSM.

A livello energetico invece: quanto è impegnativa una sessione? Quante sessioni puoi fare nell’arco di una giornata?
Non lo so, mi è capitato durante feste di legare amici/amiche, di farlo più volte, ma non ha la stessa intensità che farlo in privato, per esempio. Può essere più stancante perché sai che hai anche un pubblico e in qualche modo questa cosa dell’essere performativa. C’è chi la sente di più, c’è chi la sente di meno. Se io faccio una sessione seria, ne faccio una e basta, perché poi sono drenata, sia dal punto di vista emotivo sia dal punto di vista fisico. Tante vole capita che io cominci a sudare prima della persona che sto legando perché sono concentrata lì, il mio focus è completamente lì ed è difficile che questo non implichi anche uno sforzo importante. E poi forse è anche collegato a quello che voglio dire. Nel senso che se stiamo facendo una sessione perché stiamo giocando, siamo amici/amiche, vogliamo provare una cosa diversa, è a un livello. Se invece faccio sessione con una persona che è anche mio partner/mia partner, per quanto possa esser breve e poco provante da un punto di vista fisico, dal punto di vista psicologico c’è un coinvolgimento emotivo che è rilevante e importante. E poi più ti vuoi spingere in là, più vuoi dire, più vuoi comunicare, più vuoi fare sentire, più è stancante.
Non te l’ho chiesto prima: chiunque può legare, può cimentarsi? O ci sono dei casi in cui è meglio evitare?
Questa è una domanda politicamente molto difficile a cui rispondere. In genere chiunque può essere legato. Sarà la persona che lega a valutare come. Ci possono essere delle cose molto semplici, come l’immobilizzazione dei polsi, o cose molto più complesse che sono le sospensioni. Da una parte all’altra c’è un mondo in mezzo. Un’altra domanda che mi fanno è: ma anche i ragazzi si fanno legare? Anche le ragazze legano? Sì, in questo senso non importa quale sia il tuo genere, non importa quale sia la tua etnia, non importa quale sia il tuo peso perché è scalabile. È diverso se ci sono degli impedimenti fisici, reali. In realtà ci metterei anche… io non insegnerei mai a legare a una persona che so che è violenta. Infatti quando vengono a lezione delle persone che si comportano con la persona che legano in un modo che non mi piace, io preferisco che non tornino, glielo dico. Però questo è troppo soggettivo, non ci può essere una regola, ovviamente non posso chiedere che venga fatta una perizia psichiatrica o psicologica prima. Però se non mi piace come ti comporti, se vedo che non hai rispetto per la persona che stai legando, ti consiglio di cambiare sport e comunque io non ti insegno più.

Hai mai pensato di smettere?
Ci sono stai dei momenti in cui ho pensato “forse potrei smetter”e? No. Ci sono stati dei momenti in cui ho pensato “forse dovrei smettere”, ma per questioni private. Ma non è una mia volontà, assolutamente. Potrei eventualmente pensare di smettere non di legare ma di insegnare qualora ci dovessero essere dei cambiamenti veramente grossi nella mia vita. Che ne so, un trasferimento dall’altra parte del mondo. Magari non riuscirei a insegnare perché non parlo quella lingua, ma sicuramente non smetterei di legare. O arrivano dei pargoli, figli e figlie: da valutare, tra l’altro, perché magari non farei più le lezioni private ma farei soltanto i corsi nel weekend perché non vorrei che i compagni di classe dei miei figli venissero infilati in questo marasma prima che fossero in grado di capire cosa sta succedendo. Però sicuramente non di smettere di legare.
C’è qualcuno che smette? Ci sono dei motivi per dire basta?
Ci sono delle persone che smettono perché magari il partner o la partner con cui stanno in quel momento non hanno piacere di farlo, e quando sei in una relazione monogama cosa leghi? Può essere una scelta. Invece in un discorso di coppia aperta può capitare che se al tuo partner o alla tua partner non piace farsi legare, puoi legare qualcun altro. Ci sono anche coppie monogame che hanno più play partner, quindi in quel caso non vale. Però può capitare che la persona con cui sto non ama il BDSM, non ama le corde, e per me è più importante stare con lei/lui piuttosto che continuare a fare questa cosa, quindi può capitare.
Lego l’orso di peluche ogni tanto per non perdere la mano.
E poi magari chissà un giorno si cambierà idea. Diciamo che forse il discorso dell’insegnamento, di avere una figura pubblica, cambia. Perché finché queste cose te le fai nel privato, puoi accendere/spegnere a seconda di come va a te.
Effettivamente tu vivi molte dimensioni di questa cosa. C’è la dimensione privata, c’è la dimensione pubblica, c’è la dimensione dell’insegnamento…
Poi, per esempio, organizzando anche aperitivi a tematica BDSM io non ho solo l’esposizione nei confronti dei miei studenti ma anche nei confronti delle persone che frequentano quegli apertitivi. Quindi è un’altra variabile. Quello potrei tranquillamente metterlo via da organizzatrice, andare da utente non mi cambierebbe nulla nella vita. Insegnare per me è la cosa più bella in assoluto e quindi mi dispiacerebbe smettere ma smettere di legare non riesco a immaginarlo, sarebbe togliere un pezzo di me.
Tu sei una rigger (donna) e un’insegnante (donna). L’unica in Italia, al momento: si può dire?
L’unica in Italia che insegna da rigger, perché a Milano c’è Tenshiko che insegna insieme a Kirigami, ma in generale è Kirigami che viene riconosciuto come insegnante rigger, per quanto anche Tenshiko leghi. Prima c’era un’altra insegnante a Roma ma si è trasferita in Danimarca. Quindi se parliamo di donne rigger che insegnano a legare oggi
Oggi 26 ottobre 2021, che poi magari domani cambia tutto e abbiamo detto una roba che non è più vera.
A parte questo caso di Tenshiko e Kirigami, che sono sempre in coppia, sono l’unica, sì.
In generale la donna nella scena del bondage italiana che posto occupa? Com’è percepita?
Da quando ho cominciato io, ho visto crescere esponenzialmente il numero di donne che giocano da rigger, mentre prima la maggior parte giocava da bottom. Perché? Non ne ho la più pallida idea.
Forse è un po’ più visibilizzato. Beh in realtà no, è sempre più facile vedere bottom.
Così come c’erano pochissimi bottom uomini e adesso stanno aumentando. Sta aumentando in generale il numero di persone che switcha, che cambia ruolo. Non so se è perché c’è una maggior apertura mentale o è per le nuove generazioni che sono abituate a essere un po’ più fluide e allora magari provano da una parte e dall’altra. Ci sono sempre delle preferenze, però quasi tutti i miei studenti switchano, sia i ragazzi che le ragazze.
Forse è anche un po’ più accessibile di prima.
Sicuramente è più accessibile nel senso che ci sono più insegnanti, ci sono più scuole, c’è più visibilità tramite i social e quindi è più facile che venga la curiosità di provare, da un lato e dall’altro. Quando ho iniziato io, nella classe in cui ho cominciato io ero l’unica ragazza ed è stato così per una marea di tempo. Invece adesso ce ne sono molte di più, così come, ripeto, ci sono molti più bottom ragazzi, uomini. Ci sono delle insegnanti, anche di livello internazionale, donne. Sono comunque in minoranza rispetto agli uomini, perché questa cosa è sempre stata legata anche al mondo della pornografia. Storicamente, chi se n’è occupato da top sono stati gli uomini fino all’altro ieri.
Che è perfettamente allineato con i ruoli di genere.
Secondo me la cosa è collegata. Man mano che si sdogana un po’ la situazione, inizia a esserci più fluidità.
A livello mondiale l’Italia ha qualcosa da dire nel bondage?
Eh c’è Riccardo Wildties che per me è uno dei rigger migliori del mondo. Assolutamente sì. Ci sono altri rigger bravissimi, appunto Kirigami, Kurogami, Andra Ropes che è un altro nome di livello internazionale, che fa uno stile leggermente diverso. Quindi sì, abbiamo tanto da dire, ci guardano da fuori. Sono persone che sono riconosciute a livello internazionale e nel caso di Riccardo Wildties proprio idolo mondiale delle folle.

Ho l’ultima domanda.
Di solito si chiude con: progetti per il futuro? Però sto ripensando un po’ questa fine perché non mi piace spostare sulla prestazione, quindi faccio un’altra domanda, forse un po’ più difficile.
Cosa sogna Alithia? Fuori da ogni confine, anche l’irrealizzabile.
Per quanto riguarda il discorso corde, vorrei solo migliorare, essere più brava a legare e a insegnare e riuscire a fare di questo un lavoro a tutti gli effetti. So che in Italia è impossibile avere un riconoscimento come insegnante di bondage, però ci sono dei modi, ci sono delle partite iva, ci sono delle cose che si possono fare. Noi adesso abbiamo l’associazione. Mi piacerebbe che quando mi chiedono “Cosa fai di lavoro?” “Insegno bondage” smettessero di chiedere “Ma di lavoro?” “Insegno bondage”. A parte questa, aspirazione a migliorare, essere sempre più brava e magari avere accanto una persona che mi aiuti in questo percorso perché, sai, da sola è un po’ difficile. Direi che non ho altri grilli come Alithia.
Sono fortunata perché ho un sacco di persone che mi aiutano, che mi sostengono. La maggior parte dei rigger lavora con la propria compagna/il proprio compagno e portano avanti insieme questo progetto. È sicuramente più semplice dal punto di vista logistico. Poi magari può essere più difficile dal punto di vista del rapporto. Dallo scorso anno io ho delle persone di riferimento con cui collaboro, però, soprattutto per il discorso dello studio, avere la possibilità di applicarmi sempre con la stessa persona che ha il mio stesso obiettivo sicuramente fa la differenza.
Vuoi aggiungere qualcosa?
No, a posto così.
Se invece parliamo di Chiara, vorrei le stesse cose che vuole Alithia ma possibilmente una casa più grande, i bimbi. Vabbè questo è tutto un altro discorso, non c’entra niente con noi. Se invece dobbiamo parlare a livello globale, la sessualità più libera in generale, che le persone imparino a farsi i fatti propri invece che giudicare la gente dai propri gusti sessuali. Queste sono le speranze per il futuro.
Grazie.

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